giovedì 3 marzo 2011
La Basilica di Santa Maria degli Angeli ha accolto la salma del capitano Massimo Ranzani. La 37esima vittima italiana dall'inizio della missione in Afghanistan, nel 2004. Dopo il rientro della salma all'aeroporto di Ciampino, alle 9 è stata allestita al policlinico militare del Celio la camera ardente. Le esequie sono state celebrate dall'ordinario militare monsignor Vincenzo Pelvi alla presenza delle massime cariche dello Stato.
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Con la Preghiera dell'Alpino, la benedizione del feretro e il canto degli Alpini "Signore delle cime" si è conclusa la cerimonia condotta da mons. Vincenzo Pelvi, arcivescovo ordinario militare per l'Italia, che ha dato l'ultimo saluto al capitano Massimo Ranzani, 36 anni, l'alpino ucciso lunedì nell'esplosione che ha investito un Lince nei pressi di Shindand, in Afghanistan.Durante i funerali nella Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri sono stati ricordati anche i quattro alpini rimasti feriti nell'esplosione in cui Ranzani ha perso la vita. Nessuno versa in pericolo di vita, tre di loro stanno per fare ritorno in Italia mentre il quarto si trova in Germania per sottoporsi a un'operazione.Durante la cerimonia il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano era seduto in prima fila, nella parte destra della navata centrale della basilica. Accanto a lui il presidente della Camera, Gianfranco Fini e il presidente del Senato, Renato Schifani. Solo la quarta fila per il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che per impegni di governo è arrivato nella chiesa quando la funzione religiosa era già iniziata.La bara dell'alpino del 5* reggimento di Vipiteno è stata portata a spalla dai commilitoni fuori dalla chiesa preceduta dalla corona d'alloro del presidente della Repubblica e seguita da un alpino che su un cuscino rosso ha portato il cappello piumato e la sciabola del capitano. Un lungo applauso ha accompagnato il feretro accolto nel sagrato da una piazza gremita di persone e da una pioggia battente. La banda dell'esercito ha intonato l'"Onore ai caduti" e il presidente del Consiglio ha abbracciato il papà e la mamma dell'alpino.L'OMELIA DI MONS. PELVIDa "instancabile seminatore di speranza dinanzi allo straniero, al prigioniero, al nudo, all'affamato, sull'esempio di Gesù, anche il nostro Massimo, si è lasciato orientare solo dalla voce del cuore dinanzi alla sofferenza e all'angoscia del popolo afghano. Egli ha lasciato il buio dell'egoismo, la vita comoda, per dire al fratello dimenticato e abbandonato: coraggio, alzati; sono qui per te, solidale con il tuo atroce dolore". L'arcivescovo ordinario militare per l'Italia, mons. Vincenzo Pelvi, ha voluto ricordare così Massimo Ranzani.  Nella sua omelia, mons. Pelvi ha tratteggiato la figura del militare: "Agli amici, Massimo confidava che per costruire la pace bisogna guardare gli occhi dei bambini, leggervi dentro il sogno di cose belle e nuove; perché non ci sono bambini italiani, afghani o di altri Paesi, ci sono solo bambini, proprio come non ci sono tante paci ma la Pace. Massimo è stato instancabile seminatore di speranza e sperare vuol dire credere nell'impossibile. Fuggire il grido di aiuto dell'altro, è come scegliere la morte e, peggio ancora, divenirne l'artefice"."Massimo - ha ricordato ancora l'arcivescovo militare - è stato colpito mentre rientrava da un'operazione di assistenza medica, dopo aver distribuito vestiti, coperte, scarpe e cibo. Operazioni che i nostri giovani svolgono quotidianamente perchè hanno scelto di investire nel povero la propria storia. Da buon cristiano, cresciuto tra gli scout della sua parrocchia, sapeva bene che la pace esige il lavoro più eroico e il sacrificio più difficile. Esige un eroismo più grande della guerra e una maggiore fedeltà alla verità. Siamo chiamati a spendere la nostra vita, non a trattenerla".Dal suo sacrificio emerge infatti la consapevolezza che "che siamo famiglia umana, nella circolarità del dono. Troppo spesso, invece, ci nascondiamo dietro affermazioni del tipo: 'Non è compito mio, ne vale la pena?'."La terra - ha proseguito - è solcata da agitazioni, conflitti, sentimenti e propositi di odio e di guerra. Ma il sacrificio dei nostri militari ci impegna nel riaffermare quell'amore sociale, norma suprema e vitale della persona umana". Per mons. Pelvi "occorre un capovolgimento di prospettiva: su tutto deve prevalere non più il bene particolare di una comunità politica, razziale o culturale,ma il bene dell'umanità".
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