mercoledì 22 aprile 2009
Il cardinale risponde sul tema della carità: la Chiesa non può essere ridotta a "erogatrice di opere buone". I cattolici sono presenti con terremotati e sofferenti, ma anche nel ribadire la sacralità dell'esistenza e la dignità di ognui uomo. 
COMMENTA E CONDIVIDI
A 95 anni, la lettura di un ar­ticolo di giornale può in­fiammarlo come un ven­tenne. Al cardinale Ersilio Tonini i ragionamenti di Michele Salvati ie­ri sulla prima pagina del Corriere della Sera hanno suscitato un tor­rente di riflessioni: perché, a loro modo, sono andati al cuore delle ra­gioni per le quali la Chiesa sta in mezzo agli uomini come un riferi­mento certo, riconoscibile, fedele. Dal terremoto ai grandi temi del di­battito pubblico. Eminenza, Salvati scrive che la Chiesa farebbe meglio ad accen­tuare la carità rispetto ad altro... «È un articolo sostanzialmente posi­tivo, ma con un punto debole». Quale? «Si dimentica che la Chiesa non può non amare l’uomo, tutto l’uomo. La verità è che egli è un mistero im­menso, il più grande apparso sulla Terra. Non è solo il cristianesimo a dirlo: l’avevano già intuito i greci, ci sono pagine magnifiche a docu­mentarlo. Pensi a I persiani di E­schilo, la tragedia che narra la bat­taglia di Salamina con l’attenzione non tanto rivolta alle operazioni bel­liche quanto alle mamme persiane cui tocca di ascoltare notizie sui lo­ro figli, impegnati nei combatti­menti, da messaggeri che le rag­giungono a turno. Per l’autore l’ac­cento non è sul trionfo militare ma sulla grandezza d’animo delle ma­dri. Questo è l’uomo». In terra d’Abruzzo la Chiesa sta mo­strando una volta ancora il suo im­pegno caritativo. Ma viene capito lo spirito dal quale è mosso? «È giusto, e anche bello, che venga notata l’opera di tanti uomini di Chiesa che testimoniano come la carità non sia un’enunciazione ge­nerica ma un lasciarsi scegliere dal­la realtà più vera, quella più dura, ovvero dalle esigenze primarie del­l’uomo. C’è infatti una graduatoria per la Chiesa nei suoi interventi, dif­ficile da definire a priori perché le urgenze umane sono infinite. I gran­di pastori, i maestri nella Chiesa, so­no quelli che hanno avuto il corag­gio di fare una scelta degli obiettivi cui dedicare il meglio delle proprie forze. Don Bosco puntò sui ragazzi, con una scelta che parrebbe affetti­va e invece è ispirata da straordina­ria sapienza. San Francesco Saverio è l’uomo dell’ardimento, che spa­lanca orizzonti, non in forza di uno slancio fine a se stesso ma per un’in­tuizione ispirata. C’è un’intelligen­za profonda in queste scelte, ieri co­me oggi, che non sempre viene col­ta. Anche oggi ci sono strade da a­prire, in nome di una vocazione e di un mandato che urge nel cuore del­la Chiesa di ogni tempo». Anche davanti al terremoto?«La Chiesa coglie segnali. Il mondo greco, come quello medievale, ave­va capito che tutti i grandi proble­mi, compreso quello dello Stato, al dunque si riducono alla grande que­stione dell’uomo, che è sempre fine e mai strumento. È ciò che la Chie­sa ha ricevuto come mandato: non è solo l’uomo a meritare la massima stima e attenzione ma soprattutto la persona umana più debole, quella che ha meno potenzialità naturali. Che gli ultimi siano destinati a di­ventare i primi è Gesù stesso a dir­lo». Quando si muove sul terreno della carità la Chiesa riceve un consen­so pressoché unanime. Come lo spiega? «Perché la sua è l’azione più pura, quella nella quale meno si vede e­mergere la potenza umana, suppli­ta dal meglio dell’uomo racchiuso nella paternità e maternità». Salvati si chiede perché allora la Chiesa non accentua questa sua missione di carità – che riscuote tanti applausi – anziché insistere sui nodi della bioetica. Come ri­sponde? «È una domanda che pare opportu­na e che invece mi sembra un po’ sfasata. E le spiego perché. Il parro­co – lo sono stato anch’io, a suo tem­po – è l’amministratore della carità, non solo dei sacramenti; egli aiuta anzitutto ogni uomo a riconoscere la propria missione, il posto che oc­cupa nel suo tempo, nella comu­nità, nella storia. Il buon parroco è colui il quale aiuta ciascun giovane a scoprire la sua vocazione, la de­stinazione nella vita, persino il me­stiere cui è chiamato. Intendo dire che il compito primo della Chiesa è aiutare ognuno a trovare la propria ragion d’essere, a capire che è Dio il suo vero bene. La sublimità della vi­ta si svela grazie all’incontro del­l’uomo con Dio, che ha voluto ad­dirittura imparentarsi con lui: non poteva stimarlo più di così. Per que­sto la Chiesa difende fieramente l’uomo da ogni degrado. Ma se si legge la Chiesa solo come erogatri­ce di opere buone – per quanti ap­plausi raccolga – un simile orizzon­te scompare». È per impulso di questa certezza che la Chiesa si esprime anche sui temi della vita? «Chi dubita che debba farlo dovreb­be venire qui, all’Opera Santa Tere­sa di Ravenna, dove ho scelto di vi­vere. Lo porterei a visitare il reparto dei bambini cerebrolesi: vedrebbe una meraviglia infinita dentro quel­le creature, e un’infinita tenerezza in chi le assiste. Avrebbe un motivo di stupore continuo di fronte alla materializzazione dell’humanitas. Attraverso le opere di carità la gen­te tocca con mano cos’è la Chiesa, a cosa è ispirata la sua presenza. Ed è grazie alla fedeltà della Chiesa al­la propria identità che all’uomo di ogni epoca è garantito di restare uo­mo, con tutta la sua dignità». Ma c’è chi obietta che quando la Chiesa parla di procreazione o fine vita, smette di essere 'caritatevo­le' e inizia a far politica. «Quando ricorda chi è l’uomo la Chiesa esprime la massima esalta­zione della persona umana. Si par­la di testamento biologico, ma si in­tende il momento in cui l’uomo si ammala, diventa più debole e ri­schia proprio per questo di contare meno, di essere meno uomo. Chi, e perché, lo difende? La politica con­siste forse nel comporre graduato­rie, nel far pesare di più chi è sano, nel mettersi d’accordo su chi ha va­lore e chi no? L’aveva intuito già So­crate, con una specie di presenti­mento del messaggio cristiano: il più debole non vale meno del più forte, perché ciò che conta non è la potenza o la ricchezza ma la capa­cità di amare». Scrive ancora Salvati: non conver­rebbe alla Chiesa concentrarsi sul terreno nel quale non teme con­correnza – la carità, appunto – an­ziché scendere nell’arena delle i­dee, dove la sua immagine può ve­nire ridimensionata? «Ma senza princìpi, cosa valgono tut­te le sue opere? Siamo di fronte a un sintomo che rivela il degrado della nostra cultura, incline a dare più va­lore a ciò che sembra meglio ri­spondere al clima del momento. La Chiesa ha il dovere di ricordare a tut­ti – con la parola e le opere – qual è il criterio sul quale misurare il valo­re dell’uomo. È forse il denaro, l’ef­ficienza, la salute? O risiede in altro? La carità mostra cos’è questo 'al­tro', non soggetto al fascino di al­cuna propaganda». Parlare con nettezza di inizio e fine vita espone al rischio dell’impopo­larità... «Ma non si può credere che soccor­rere i terremotati sia una cosa e par­lare della dignità della vita umana sia tutt’altro! È un errore formida­bile. Nelle nostre famiglie quali so­no i momenti più solenni? La na­scita e la morte, l’inizio e la fine del­la vita. E che dire della malattia, ov­vero del momento in cui l’uomo è più fragile? Di questo si occupa la Chiesa: di tutto l’uomo, dal princi­pio alla fine, in ogni circostanza del­la vita, specie quando attraversa la prova. Non si danno due cuori, due intelligenze, due Chiese». Eppure c’è chi continua a contrap­porre un volto all’altro... «Nella Chiesa c’è una maternità ver­so i più deboli che rispecchia la ma­ternità naturale, ovvero il rapporto più umano che esista. Dico di più: trovo pienamente me stesso ac­canto ai bambini ospiti in questa struttura di Ravenna, che sembra­no deformi ma danno un volto al­l’essere umano più fragile di cui in ogni famiglia ci si prende cura con speciale attenzione. Il cuore con cui la Chiesa cammina tra le macerie d’Abruzzo e si china sulle fragilità u­mane è lo stesso con cui insegna il Vangelo della vita. Ci sono valori più alti da testimoniare. Diversamente, perché i missionari partirebbero per l’Africa, l’Asia o l’America Lati­na? Benedico la Chiesa, la benedi­co per davvero, perché è la comu­nità dove i più deboli sono quelli che contano di più. Essere cristiani vuol dire testimoniare questo in o­gni epoca, e interpretare le esigen­ze del tempo, rendersi respon­sabili dell’umanità del pro­prio momento storico. Aiutare l’uomo a ritrova­re la sua grandezza». Eppure, si legge ancora sul Corrie­re, gli italiani non apprezzerebbe­ro quel che dice la Chiesa sulla vi­ta... «Ma per fortuna c’è qualcuno che considera l’uomo come sommo va­lore! No, non credo a questa affer­mazione, anche perché nessuno ha mai rimproverato la Chiesa per es­sersi presa cura degli uomini. Cosa ci dicono giganti della fede come don Orione se non questo? Salvati lo elogia: giusto, ma a patto di ri­cordare che don Orione non era so­lo un uomo di buon cuore. La sua carità era mossa da un’intelligenza superiore e da un ardimento senza pari. Le opere non cammi­nano senza la fede, la sapienza e il corag­gio».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: