
Il senatore Dario Franceschini - Ansa
Doveva essere una semplice discussione sulla proposta di legge per il doppio cognome. Invece durante l’assemblea di ieri del gruppo Pd, il senatore Dario Franceschini ha sparigliato le carte con un’idea che subito ha acceso gli animi: dare ai figli un solo cognome, non più quello del papà, ma quello della mamma. «Anziché creare infiniti problemi con la gestione dei doppi cognomi o con la scelta tra quello del padre e quello della madre – ha argomentato – dopo secoli in cui i figli hanno preso il cognome del padre, stabiliamo che dalla nuova legge prenderanno il solo cognome della madre. È una cosa semplice e anche un risarcimento per un’ingiustizia secolare che ha avuto non solo un valore simbolico, ma è stata una delle fonti culturali e sociali delle disuguaglianze di genere».
La proposta di Franceschini si inserisce un vuoto legislativo. Nel 2022 una sentenza della Corte costituzionale ha di fatto eliminato l’automatismo che assegnava ai neonati il cognome paterno. Servirebbe dunque una legge, ma dopo alcuni tentativi in Parlamento ci si è arenati. La questione tra l’altro non è neppure nuova: il primo dibattito sulla materia risale al 1979, con la proposta di legge di Maria Magnani Noya. Attualmente un ddl sul doppio cognome è in discussione al Senato, ma nel frattempo fa scuola la decisione della Consulta, grazie alla quale i genitori all’atto di nascita possono già scegliere quale o quali cognomi assegnare al figlio. L’ipotesi avanzata da Franceschini sembra però ben lontana dal colmare quel vuoto normativo persuadendo l’Aula. Bisognerebbe «trovare un punto di equilibrio che non renda nessun genitore invisibile» commenta la presidente della Commissione giustizia del Senato, la leghista Giulia Bongiorno.
Franceschini, insomma, si è già tirato addosso le critiche della maggioranza. A partire proprio dalla Lega, con il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini, che accusa: «Ecco le grandi priorità della sinistra italiana. Invece del doppio cognome, togliere ai bimbi il cognome del padre! Ma certo, cancelliamoli dalla faccia della terra questi papà, così risolviamo tutti i problemi». Insieme a lui l’hanno attaccato, tra gli altri, l’ex senatore Simone Pillon, che parla «dell’ultima genialata della sinistra contro il patriarcato», e ancora il deputato Federico Mollicone (FdI) che la considera una provocazione irricevibile: «Si passerebbe dal patriarcato al matriarcato, quando già la legge ammette, giustamente, che i figli possano assumere in maniera abbastanza semplice entrambi i cognomi». Anche in FI proposte come questa «sembrano piuttosto provocazioni finalizzate soprattutto ad una ribalta mediatica», come dice il senatore Pierantonio Zanettin.
Al centro, il leader di Azione Carlo Calenda chiede se non ci siano altre priorità e anche nel Pd c’è chi come Stefano Lepri sostiene che il cognome del padre «non è un retaggio superato del patriarcato, bensì il primo modo per evitare che l’uomo si limiti alla sua funzione riproduttiva». L’idea è stata invece accolta con favore da Avs e da altri colleghi dem. Dalla senatrice Valeria Valente che parla dell’attribuzione del cognome della madre ai figli come di «una battaglia di civiltà», alla deputata Laura Boldrini che commenta: «Franceschini ha suggerito una via. Come ogni tentativo di restituire alle donne la parità per troppo tempo negata, anche in ambito genitoriale e nell’attribuzione del cognome, è benvenuta».
A fare chiarezza arriva però il parere del presidente emerito della Corte costituzionale Cesare Mirabelli, che sottolinea fin da subito come «il ddl si presta alle stesse censure di illegittimità che riguardavano l’obbligo di trasmettere ai figli solo il cognome paterno».