"A seguito della scomparsa dell'ex Presidente del Consiglio dei Ministri, Arnaldo Forlani, è stata disposta, dall'8 al 10 luglio 2023, l'esposizione a mezz'asta delle bandiere nazionale ed europea sugli edifici pubblici dell'intero territorio nazionale e sulle sedi delle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane all'estero". Lo rende noto la Presidenza del Consiglio sul sito del governo, spiegando che "il 10 luglio 2023, giornata di celebrazione delle esequie di Stato, è dichiarato lutto nazionale".
Wikipedia ha già aggiornato il profilo di Arnaldo Forlani (Pesaro, 8 dicembre 1925 – Roma, 6 luglio 2023). A 97 anni muore un pezzo di storia della Dc. Muore il premier che sfiorò il Colle. Muore il leader politico che passò mezza vita a costruire alleanze nella stagione della Prima Repubblica. «Si può governare senza sembrare di stare al governo». Così Arnaldo Forlani amava raccontare il suo impegno in politica. E così appariva (o voleva apparire): sempre un passo indietro, sempre ingessato nel suo immancabile completo grigio, sempre preoccupato dalle luci dei riflettori. Una fama da pigro, quasi indolente. Apparentemente riluttante ad assumere cariche e responsabilità. Eppure Forlani, di incarichi pubblici, nella sua vita li ha avuti tutti. Quasi tutti. Parlamentare di lungo corso (ben nove legislature all'attivo dal 1958 al 1994), due volte segretario della Dc a distanza di vent'anni (la prima volta nel 1969, con De Mita vicesegretario; la seconda volta tra il 1989 ed il 1992, lo vede sostenuto dal centro doroteo appoggiato da Andreotti), protagonista in tutti i Governi di quegli anni: premier nel 1980, più volte vicepresidente del Consiglio, ha ricoperto anche il ruolo di ministro delle Partecipazioni statali, degli Affari esteri e della Difesa. Candidato alla Presidenza della Repubblica nel 1992 che gli sfugge per meno di 30 voti, prima di lasciare il campo a Oscar Luigi Scalfaro. Ultimo impegno quello di eurodeputato, tra i popolari europei dal 1989 al 1994.
I siti e i tg già raccontano i dettagli di una lunga vita. La famiglia, i tre figli (Alessandro, Marco e Luigi), la sconfinata passione per la politica. Gli anni della gioventù e la parentesi da calciatore come mezz'ala della Vis Pesaro in serie C. Marchigiano, nato a Pesaro, laurea in giurisprudenza ad Urbino, dopo i primi incarichi come amministratore nella città natale, alla metà degli anni '50 entra nella Direzione nazionale. Forlani scala i vertici della balena bianca. Fanfaniano di ferro fino agli inizi degli anni '80, nel 1982 aveva perso l'appoggio del suo mentore nella battaglia congressuale con De Mita per la segreteria del partito. Aveva allora fondato una nuova corrente con Gava e Scotti: il "Grande Centro" rappresentativa dell'anima moderata della Dc. Si era avvicinato poi ad Andreotti e dal 1989 al 1992 sarà tra gli artefici del Caf, l’asse Craxi-Forlani-Andreotti che portò alla caduta del governo De Mita e al ritorno di Andreotti alla presidenza del Consiglio e che connoterà fortemente gli ultimi anni di governo del pentapartito.
C'è la stagione dei successi politici e ci sono le istantanee entrate nella cronaca contemporanea. Pagine luminose e pagine grigie. Da responsabile del partito, finisce alla sbarra, davanti ai giudici del processo Enimont dove viene condannato in via definitiva a due anni e quattro mesi di reclusione per finanziamento illecito dei partiti. Di quel processo resta una immagine triste: il serrato interrogatorio di Di Pietro e la flemma abituale del leader dc che a tratti vacilla. Forlani si ritira dalla politica attiva, la segue a lungo, ma da lontano, da osservatore, sempre con ruoli dietro le quinte. Sempre distaccato, mai rancoroso, mai uno scatto d'ira, una uscita a voce alta. Molte battute, a modo suo, all'inglese, con quell'accento marchigiano accennato ma inconfondibile. Sempre pronto a concedersi comunque a generazioni di cronisti, certi di tornare sempre con una battuta "da titolo" sul taccuino. E di sentirsi rivolgere l'immancabile "attenti alle mani", cortese quanto inderogabile avviso che lo sportello della macchina blindata stava per chiudersi, e con esso la conversazione.
«C'è un'ambizione delle posizioni perdute che porta un partito verso pericoli estremi». Arnaldo Forlani descrisse con una citazione di Nietzsche la parabola discendente di quella Democrazia cristiana della quale era stato uno dei pilastri. Successi e cadute. Sul Giornale di Montanelli Gianfranco Piazzesi gli affibbiò un epiteto che lo avrebbe perseguitato per tutta la sua carriera, il «coniglio mannaro» traendolo dal Mulino del Po di Riccardo Bacchelli. Forlani sapeva ridere dei tanti soprannomi. Ci si riconosceva. Li sapeva spiegare. Fu “la tigre che dorme” (Congresso DC 1989), “supremamente adattabile” (Financial Times), “manager tranquillo” (The Economist). E fu anche "il pompiere". «Si riferisce alla mia tendenza a cercare di far sempre prevalere gli elementi di convergenza rispetto ai motivi di contrasto: quindi, spegnere gli incendi», spiegava Forlani. E coniglio mannaro? «Non mi dispiace il sostantivo che può far riferimento al carattere mite, non protervo, mentre l'aggettivo sottolinea la capacità di essere duro e intransigente quando c'è la necessità di difendere valori e ragioni importanti».
Il primo ricordo è di Pier Ferdinando Casini, amico e collaboratore del leader Dc: «Ha servito la politica e non se ne è mai servito. Ha avuto grandi soddisfazioni nella sua vita pubblica e altrettante amarezze. Ha affrontato il tutto con una profonda fede cristiana e con una grande umanità. Nei prossimi giorni ci sarà tempo per riflettere sul suo lavoro politico: europeista, atlantista ha sempre difeso con forza la collaborazione tra DC e socialisti. È forse l'ultimo dei grandi protagonisti della Democrazia Cristiana della Prima Repubblica, a cui dobbiamo dire grazie e addio». Anche il capo dello Stato Sergio Mattarella ricorda Forlani: «È stata una personalità di spicco della Repubblica per una lunga stagione, e la sua azione nel Governo e nel partito di maggioranza relativa ha contribuito all'indirizzo del Paese, alla sua crescita democratica, allo sviluppo economico e al consolidamento del ruolo italiano in Europa, nell'Alleanza atlantica, nel consesso internazionale... Lascia un segno di grande rilievo nella storia repubblicana. La fermezza delle posizioni si univa in lui con stile di cortesia e con atteggiamento rispettoso con gli interlocutori anche di posizioni contrapposte, atteggiamenti che assumevano essi stessi un valore politico e democratico».