Il Pdl «deve essere libero e non può essere il partito nato dal predellino». Gianfranco Fini si ritaglia uno spazio di iniziativa dentro e fuori il Popolo delle libertà. Fa la conta dei fedelissimi e prenota una contro-relazione per domani, alla direzione del Pdl allargata ai gruppi parlamentari che si terrà nell’auditorium della Conciliazione, dal nome vagamente beneaugurante.Doveva essere, ieri, il giorno del varo della sua corrente e invece ne nascono due. Con Fini 14 senatori (nessuna new entry, smentisce l’adesione l’ex forzista Enrico Musso) e 39 deputati. Sono in 54, per la precisione i parlamentari che aderiscono all’appello di Fini nella blindatissima sala Tatarella (a proposito, chissà con chi si sarebbe schierato l’ideologo di Alleanza nazionale), ma qualcuno – come Manlio Contento e Carla Castellani – prende la parola solo per spiegare perché non firmerà. In compenso qualcun altro (come Nicola Cristaldi) fa sapere che la sua firma ci sarà, anche se non era presente. Da Strasburgo si schierano con Fini 5 eurodeputati, fra cui la Muscardini e la Angelilli. Ma intanto vanno alla conta anche i suoi ex colonnelli, i La Russa, i Gasparri, i Matteoli, che imbarcano anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno (fin qui spesosi nel ruolo di mediatore) e il ministro Giorgia Meloni (oltre all’ex ministro Landolfi e il sottosegretario Mantovano) e alla fine di firme ne contano 74: 41 deputati e di 33 senatori, per la precisione. Propongono, come mossa distensiva, un «congresso entro l’anno, per superare le quote interne». Congresso che auspica anche Fini, ma per la ragione opposta, per rimarcare meglio le distanze.Praticamente Fini si ritrova ad essere minoranza, prima che nel Pdl, nella sua stessa componente di ex An, ma questo forse lo aveva messo nel conto. Quel che non immaginava, semmai, è che gli ex amici andassero a caccia di firme proprio in contemporanea. E a poco vale che lui stesso, e con lui il fido Italo Bocchino dicano – curiosamente all’unisono con Alemanno – che quelle firme non sono "contro". «Anzi in cuore loro sono con me», si lascia sfuggire Fini con la Velina rossa. Ma se non contro di lui – verrebbe da dire – sono certamente per Berlusconi, e di questi tempi il risultato non cambia di molto.Ma che al suo fianco non ci sia più An, Fini lo sa. Sa, certo, che quelli che restano sarebbero sufficienti a fare gruppo sia alla Camera che al Senato, ma sa anche (e alcuni interventi lo rimarcano chiaramente) che i numeri diventerebbero più esigui proprio, paradossalmente, con la prospettiva reale di andare da soli: «La fase del 70 a 30 è finita. Mi auguro che Berlusconi accetti che esista un dissenso interno nel Pdl», si limita allora a dire ai suoi riuniti. «Nessuna scissione – e nemmeno gruppi autonomi –, no al voto anticipato, ma ora confronto costruttivo», certifica il documento, attento a misurare le parole per non perdere altri pezzi per strada al momento della firma. Ma Fini resta determinato a marcare le differenze, ogni qual volta ce ne sarà – di nuovo – bisogno. E ne dà un anticipo su Roberto Saviano, argomento che subito, appena trapela, apre nuove polemiche: «Come è possibile dire che con il suo libro ha incrementato la Camorra? Come si fa a essere d’accordo?», dice Fini. «Ci sono momenti in cui bisogna guardarsi allo specchio, e io l’ho fatto», spiega ancora. «Ma non ho voglia né di togliere il disturbo, né di stare zitto». Assicura che quello che pone è un problema politico, «non di organigrammi». Niente contro GiulioTremonti, assicura («Senza di lui saremmo come in Grecia»), e neppure contro la Lega, «alleato strategico ma che non può essere dominus». Resta tuttavia la sensazione che lo scontro sia solo rinviato. Forse già a domani, in direzione.