L'accorpamento delle festività non ci sarà. Quello di 64 Province invece si mette definitivamente in moto. Sono tre i criteri per i quali il Consiglio dei ministri, riunitosi ieri mattina, ha deciso di «non procedere» sul capitolo che riguarda i tempi di lavoro e riposo degli italiani. Due, invece, quelli che rivoluzioneranno il panorama degli enti locali intermedi tra Comuni e Regioni (vedi sotto).Dunque, almeno per tutto il 2013, non ci sarà lo spostamento alle domeniche successive delle feste del 25 aprile, del 1° maggio, del 2 giugno e l’abolizione delle feste patronali. Ipotesi emersa un anno fa e riproposta nei giorni scorsi, tra proteste diffuse, dal sottosegretario all’Economia, Gianfranco Polillo. Si tratta degli effetti del decreto-legge approvato dal governo Berlusconi nell’agosto 2011 che prevedeva come a decorrere dal 2012 il presidente del Consiglio stabilisse ogni anno le date delle festività «introdotte con legge dello Stato non conseguenti ad accordi con la Santa Sede, nonché le celebrazioni nazionali e le festività dei santi patroni», ad esclusione delle date menzionate. Tutto si sarebbe ridotto, dunque, al lunedì di Pasqua e al 26 dicembre, santo Stefano.Dunque, ieri il governo ha preso in esame la questione e ha deciso per il nulla di fatto. «Anzitutto perché, secondo le stime della Ragioneria generale, la misura non dà sufficienti garanzie di risparmio», si legge in una nota di Palazzo Chigi. Poi perché a differenza di quanto indicato dal decreto del 2011 «nella parte in cui fa riferimento a "diffuse prassi europee", non esistono in Europa previsioni normative di livello statale che accorpino le celebrazioni nazionali e le festività dei santi patroni». In alcuni Paesi (ad esempio Germania, Austria e Spagna) queste ultime, quelle dei santi, rientrano «nell’autonoma determinazione delle autorità locali che le fanno coincidere col giorno a questi dedicato nel calendario gregoriano». Nei Paesi anglosassoni - ad esempio Irlanda e Scozia - i patroni delle principali città «sono riconosciuti e celebrati, con giornate festive stabilite a livello statale». Infine, terzo criterio, «l’attuazione della misura nei confronti dei lavoratori privati violerebbe il principio di salvaguardia dell’autonomia contrattuale, con il rischio di aumentare la conflittualità tra lavoratori e datori di lavoro».In conferenza stampa il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà, sintetizza: «Non c’è alcuna prova di una maggiore produttività o risparmio di spesa». Tanto più – aggiunge - «che l’industria del turismo avrebbe avuto un sensibile decremento. Quindi per quest’anno non se ne parla. L’anno prossimo si vede». Il premier Monti, seduto a fianco, mostra un settimanale che titola "Il governo dei tecnici vuole togliere le ferie agli italiani?". Cosa che «avete visto che non abbiamo intenzione di fare», commenta.Avanti, invece, sulla questione delle Province, anch’essa foriera di polemiche. Qui i criteri, come era già stato anticipato, sono due: almeno 350mila abitanti ed estensione su una superficie territoriale non inferiore a 2500 chilometri quadrati. Nei prossimi giorni - si legge nel comunicato finale del Cdm - il governo trasmetterà la deliberazione al Consiglio delle autonomie locali (Cal), istituito in ogni Regione e composto dai rappresentanti degli enti territoriali». La proposta finale «sarà trasmessa da Cal e Regioni interessate al governo, il quale provvederà all’effettiva riduzione delle Province promuovendo un nuovo atto legislativo che completerà la procedura». Le competenze dei nuovi enti riguardano ambiente, trasporto e viabilità. Mentre le altre, finora esercitate, vengono devolute ai Comuni. La soppressione delle Province che corrispondono alle Città metropolitane - dieci, tra cui Roma, Milano, Napoli, Venezia e Firenze - avverrà «contestualmente alla creazione di queste (entro il 1° gennaio 2014)». Questo - ha spiegato il ministro della Pubblica amministrazione Filippo Patroni Griffi, «costituisce il secondo passaggio del percorso già delineato nel decreto spending review». Ma subito al Parlamento arriva la richiesta di «stralcio dell’articolo 17» del provvedimento «per palesi fattori di incostituzionalità e insussistenza delle motivazioni di necessità e urgenza». La avanzano i rappresentanti di una trentina di Province riuniti nella sede di quella di Benevento.