sabato 5 febbraio 2011
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Fare buon viso a cattivo gioco evitando ogni polemica con il Quirinale, ma soprattutto "sterilizzare" la lettera di Napolitano sul federalismo, accettando la parte procedurale e facendo cadere quella politica, nella quale si chiedeva una riforma a largo consenso. È questa la strategia che governo e maggioranza hanno deciso di tenere dopo la solenne bocciatura (seguita da un severo richiamo all’ordine) che il presidente della Repubblica ha inflitto al decreto sul federalismo comunale. E, dunque, da parte di Lega e Pdl c’è stato un profluvio di dichiarazioni di disponibilità a ripercorrere l’approvazione del testo secondo il dettato di Napolitano, prevedendo un passaggio in aula sia alla Camera che al Senato. Ma, soprattutto dalla Lega, c’è uno stop deciso a ogni possibile cambiamento della norma, tanto che il ministro Roberto Calderoli ha fatto balenare l’ipotesi di ricorrere al voto di fiducia, qualora durante il dibattito parlamentare fossero presentati nuovi documenti. Il senso, dunque, è quello di blindare il provvedimento approvato giovedì sera dal Consiglio dei ministri straordinario e di sottoporlo a una rapida ratifica da parte del Parlamento. «Tanto i voti ce li abbiamo, l’abbiamo dimostrato sul caso Ruby», dicono a Palazzo Grazioli. Il premier Berlusconi coi giornalisti minimizza: «È un fatto procedurale, si andrà in Parlamento».  E in coro i capigruppo di Camera e Senato della Lega, Bricolo e Reguzzoni: «La richiesta del passaggio parlamentare avanzata dal presidente Napolitano, che noi come sempre rispettiamo, sarà prontamente esaudita dal governo». Sul tavolo, anche la modifica della composizione della "bicameralina", per evitare nuovi casi di pareggio. Un’operazione legittima e possibile, a richiesta dei gruppi, secondo quanto è stato reso noto ieri da un comunicato congiunto dei presidenti di Camera e Senato Fini e Schifani. Che si dicono pronti a «effettuare una verifica», a richiesta dei gruppi, sul bilanciamento maggioranza-opposizione. Nel quartier generale di Pdl-Lega si è dunque messa la sordina alle polemiche con Napolitano, anche se in privato i leader manifestano una certa irritazione. Sul piatto, secondo l’analisi di qualche dirigente, non ci sarebbe tanto l’affossamento del federalismo, quanto la voglia di parte delle opposizioni di bloccare il governo e di andare alle elezioni. Tant’è che Bossi sono due giorni che ripete come un mantra che «le urne sono scongiurate». Ma che il centrodestra abbia dovuto inghiottire un boccone amaro per lo stop di Napolitano lo si può cogliere in diverse dichiarazioni. Calderoli, in mattinata, aveva parlato di rispettabile «interpretazione» da parte del Quirinale, «diversa dalla mia». E il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, pur giudicando necessario un ulteriore passaggio parlamentare, aggiunge: «Non si può far finta comunque che finora sul tema ci sono stati molteplici riscontri in almeno sei Commissioni parlamentari». Ancora più esplicito il parigrado del Senato Maurizio Gasparri: «Sulle procedure si potrebbero fare analisi approfondite, anche alla luce di altri pareri positivi come quello della Commissione Bilancio del Senato».
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