sabato 5 febbraio 2011
Dura lettera al premier: «Comportamento scorretto. Mi avete coinvolto a cose fatte». Una mattinata vissuta all’insegna dell’incomunicabilità istituzionale. Mentre il premier da Bruxelles si augura che non ci siano problemi per la promulgazione, Tremonti e Calderoli spiegano ai giornalisti la «svolta storica», Napolitano chiama Letta e lo avverte dello stop in arrivo.
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Sono le ore 10,35 quando le agenzie battono il flash da Bruxelles di un Silvio Berlusconi fiducioso circa la promulgazione del decreto sul federalismo. «Problemi con Napolitano? Spero di no», dice il premier. Ma appena tre ore dopo, alle 13,39, ecco il lancio di agenzia dal Quirinale: «Irricevibile il decreto». Torna il gelo, fra Palazzo Chigi e Quirinale. Dall’appello di Bergamo con la risposta positiva a stretto giro del premier, sembrano passati anni, non soli due giorni. Tutto avrebbe immaginato, il presidente, tranne che dover apprendere dai tg della sera dell’accelerazione del governo sul federalismo municipale. Presa visione di buon mattino del comunicato ufficiale di palazzo Chigi, Napolitano riunisce subito il suo staff (il segretario generale, Donato Marra, il responsabile degli Affari giuridici, Salvatore Sechi e il Consigliere di Stato, Alfonso Ruffo, per i rapporti con le Autonomie) e si convince ulteriormente della fondatezza delle sue perplessità. «Non sussistono le condizioni per procedere alla richiesta emanazione», avverte nella lettera inviata a Berlusconi. E prima ancora di poter prendere visione del decreto, parla di «procedimento non perfezionato» e spiega nei dettagli i motivi dell’irricevibilità: «Mi risulta che il testo è diverso da quello originariamente approvato dal governo e trasmesso alla Conferenza unificata e alle Camere, ed è identico alla proposta di parere favorevole condizionato formulata dal presidente della Commissione Bicamerale, proposta respinta dalla stessa Commissione», scrive. E così demolisce la tesi del governo che considerava quel parere semplicemente come non espresso.È passato da poco mezzogiorno, si è appena conclusa la conferenza stampa di Roberto Calderoli e Giulio Tremonti, per spiegare - ignari dello stop in arrivo - la «svolta storica», quando il presidente chiama Gianni Letta (che invano si era speso, in Consiglio dei ministri, per spiegare che quel decreto non avrebbe passato il vaglio del Quirinale) per avvertirlo della sua decisione. Ancor prima degli argomenti tecnici pesa la rottura della leale collaborazione fra i vertici dello Stato, spiega Napolitano al sottosegretario, anticipando il passaggio più duro della lettera a Berlusconi: «Non giova – gli scrive – a un corretto svolgimento dei rapporti istituzionali la convocazione straordinaria di una riunione del Governo senza la fissazione dell’ordine del giorno e senza averne preventivamente informato il Presidente della Repubblica, tanto meno consultandolo sull’intendimento di procedere all’approvazione definitiva del decreto legislativo».Umberto Bossi incassa il colpo e, col Cavaliere impegnato a Bruxelles, si incarica lui di rassicurare il Colle: «Se ci sono stati errori ripareremo portando il testo alle Camere, ma non era nostra intenzione ignorare né il Parlamento, né gli enti locali, essendo venuti incontro in tutti i modi alle loro richieste», spiega il senatur a Napolitano per ricucire lo strappo.Il presidente aveva anche percepito il rischio di un ritiro sull’Aventino delle opposizioni nella Bicameralina bypassata dal Consiglio dei ministri. Anche per questo ha deciso di intervenire senza indugi. Ora però il governo blinda il testo approvato. Ma anche se la condivisione auspicata resta lontana, Napolitano continua a sperarci: nei prossimi giorni potrebbe far partire un nuovo, pressante, appello al dialogo, sul federalismo.
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