sabato 29 maggio 2010
Appello di Formigoni per riesaminare la manovra: «Così riforma a rischio». Il Pd ironico col Carroccio. E in serata deve intervenire il ministro della Semplificazione: «Garantiamo noi».
Ricolfi: il sogno della Lega è già svanito
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«Proporrò a Tremonti di portare già entro giugno, oltre al decreto legislativo sull’autonomia impositiva degli enti locali, anche quello su costi e fabbisogni standard». Tocca a Roberto Calderoli, per ordine di Bossi, interrompere la corsa a chi è più federalista della Lega innescata dai tagli drastici agli enti locali della Manovra. Un segnale all’opposizione che ironizza, e agli stessi governatori del Pdl che, con Roberto Formigoni, avevano di nuovo parlato di federalismo a rischio. Ma, per non sapere né leggere né scrivere, diventava un messaggio anche per Silvio Berlusconi che, in mattinata, pur ribadendo che «i decreti attuativi saranno fatti nei tempi», poi aveva ribadito l’impegno «di varare una commissione all’interno del Pdl, che concluderà il suo esame entro l’estate». Si tratta, come si ricorderà, di una delle poche concessioni a Gianfranco Fini, durante lo scontro nella direzione del Pdl. Vuoi vedere, avranno pensato quelli della Lega, che Fini e Berlusconi si mettono d’accordo proprio sulla pelle nostra? Ed ecco Calderoli assumere quest’impegno «davanti a Comuni, Province e Regioni», un po’ promette, e un po’ minaccia.La Lega, insomma, gioca la sua partita. Assumendo il comando delle operazioni non appena entrano in azione sistemi di frenatura. Lo stesso Calderoli non esitò, d’altronde, a portare lui stesso la prima bozza di riforma al Quirinale, innescando l’escalation polemica di Fini, nel Pdl, e il disappunto dello stesso premier. «La Lega – si riprende la scena, Calderoli – non avrebbe mai votato una manovra che mettesse a rischio il federalismo . E infatti il decreto legge non solo non lo tocca, ma anzi ne crea i presupposti», assicura. Una risposta secca al coro che invitava la Lega a fare il suo mestiere. Il più esplicito era stato proprio Formigoni, chiedendo «gli amici ministri della Lega e tutto il governo di voler salvare il federalismo fiscale, modificando la manovra». In serata la contro-replica del governatore lombardo: «Calderoli condivide la convinzione che, così come è, la manovra mette a repentaglio il federalismo. Le sue intenzioni sono giuste – concede – ma per fare il federalismo occorrono i numeri e finora nella manovra mancano».Così i dubbi sui conti e quelli sui tempi s’intrecciano. Entro fine giugno, che è poi la scadenza cui fa riferimento Calderoli, la legge sul federalismo impone solo un passaggio in Parlamento per metterlo a conoscenza della relazione sui costi e sulle simulazioni attuative del federalismo, cui sta lavorando senza sosta (ma per concludere mancherebbero ancora una ventina di giorni) la Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale presieduta da Luca Antonini. E, stando così le cose, i tempi stretti ipotizzati da Calderoli, vista anche la zeppa messa da Berlusconi con la costituenda commissione del Pdl, non sembrano perseguibili.L’opposizione invita il governo a uscire allo scoperto. Opposizione che mantiene, fra l’altro, il controllo di Anci (con il sindaco di Torino Sergio Chiamparino) e presidenza Regioni (col riconfermato Vasco Errani, a dispetto dei numeri che ora sarebbero a vantaggio del centrodestra). «Il federalismo è morto, Bossi lo sa ma tace», dice, per il Pd, l’ex sottosegretario Ettore Rosato. E, dopo l’uscita di Calderoli, Massimo D’Alema rincara la dose, parlando di «colpo durissimo al federalismo». Lo vede «a rischio», ora, anche Massimo Donadi, per l’Idv, reduce dall’idillio con la Lega sul federalismo demaniale. «Per crederci alla Lega resta solo il training autogeno», scherza Maurizio Ronconi, per l’Udc, che così rafforza la sua scelta di tenersene distante. «Le rassicurazioni della Lega? Solo propaganda», taglia corto Chiamparino.
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