Il rapporto umano resta l’approccio migliore per capire e combattere la povertà evitando il pericolo dell’assistenzialismo. Perché la crisi non deve farci dimenticare che la povertà oggi non è fatta solo da privazioni materiali, ma anche di relazione. Alla vigilia della giornata mondiale del Rifiuto della miseria, istituita per la prima volta nel 1987 da un religioso francese, padre Joseph Wresinski, e poi fatta propria dalle Nazioni Unite, quello che il buon senso e la pratica di molte associazioni di volontariato suggeriscono, viene confermato dalle ricerche di Labos, la fondazione-laboratorio per le politiche sociali guidata dal sociologo Claudio Calvaruso.«Questa crisi – spiega lo studioso – è anzitutto delle politiche sociali. Vorrei ricordare che aderendo alla giornata dell’Onu, l’Italia si è impegnata a rendicontare sull’impegno delle istituzioni. Invece in 20 anni non si è fatto nulla. C’è uno stallo generale, imputabile non soltanto a problemi di tipo economico, ma a una difficoltà del modello di politica sociale che non riesce a rinnovarsi e che ha sempre un’attenzione prevalente agli aspetti quantitativi economici piuttosto che agli aspetti qualitativi che toccano il cambiamento dei bisogni delle persone e dei gruppi sociali in difficoltà».La famiglia, ad esempio, è ancora una molla straordinaria per reagire all’impoverimento. Labos ha condotto ricerche su un gruppo "emergente" di poveri, le madri separate con figli a carico, per dimostrare che ciascuna persona, al di là delle condizioni economiche, può trovare dentro di sé le motivazioni per risalire i gradini della scala sociale.«Infatti – aggiunge il sociologo – nonostante le difficoltà economiche, queste donne italiane straniere si sono dimostrate capace di condurre vite impossibili. Grazie all’obiettivo di dare ai figli una vita migliore, che è risultato al primo posto nella gerarchia dei valori, accettano orari lavorativi pesanti, conducono un’esistenza di privazioni dove quasi si annullano, ma centrano i traguardi». Nonostante la povertà, insomma, la relazione famigliare diventa una molla straordinaria di riscatto. Un particolare da tenere presente per rimodellare il welfare. «Anzi – aggiunge Calvaruso – forse solo negli strati più indeboliti dalla crisi si riscontrano queste capacità di reazione».Stessi risultati per una ricerca applicata agli homeless romani.«In questo caso abbiamo seguito gli insegnamenti di don Luigi Di Liegro, che alla guida della Caritas romana dimostrò come partendo dalla relazione affettiva si potevano recuperare persone che avevano rinunciato a tutto. I senza dimora sono "anoressici istituzionali", nel senso che il rapporto con l’istituzione li fa stare male. Allora deve essere il volontario, capace di una relazione di gratuità, a farsi carico della ripresa dei rapporti. In molti casi si è arrivati a riconquistare i diritti di cittadinanza».Condivisione da parte dei volontari e politiche sociali pubbliche per dare aiuti evitando l’assistenzialismo e ridando dignità alla persona. Padre Wresinski era giunto a queste conclusioni perché la miseria l’aveva sperimentata, lui cresciuto poverissimo in una baracca - i famigerati igloo - della banlieu parigina. E per ricordare la giornata del Rifiuto della miseria che istituì nel 1987, domani sera alle 18 a Roma, sul sagrato di San Giovanni in Laterano, l’associazione degli amici di Atd Quarto mondo in Italia, emanazione dell’organizzazione di volontariato creata dal prete francese, organizza una celebrazione.«Ci ritroveremo – conclude Calvaruso, presidente dell’associazione – accanto a una lapide che ricorda quella inaugurata al Trocadero a Parigi da padre Wresinski in onore di tutte le vittime della miseria».Fare memoria era il suo obiettivo, tanto che a ogni povero chiedeva di scrivere la propria biografia. E oggi i volontari di Atd operano nelle periferie aprendo scuole popolari per adulti e bambini, convinti che la cultura sia un’arma insuperabile per estirpare la povertà.