L’ultima medaglia l’ha appuntata Raffaele Cantone. «Milano è tornata la Capitale morale d’Italia», ha detto il presidente dell’Agenzia nazionale anti corruzione, ricevendo il Sigillo della città dal sindaco Giuliano Pisapia. Le parole del magistrato sono indicative di un comune sentire: con Expo Milano è tornata. La città piegata dal malaffare e sfregiata da una crisi economica feroce, ha rialzato la testa. Ha ritrovato una bussola che sembrava smarrita, ha lasciato alle spalle l’incertezza, è tornata a specchiarsi in quell’aggettivo 'grande' che l’aveva accompagnata a lungo. Certo non tutti i problemi sono alle spalle. E le sfide più importanti sono quelle che devono ancora venire. Come quella che partirà lunedì mattina quando sull’area di Rho-Pero si inizierà lo smontaggio dei padiglioni e a ragionare sulla riconversione del sito in qualcosa che ancora non è chiaro. L’eredità di Expo, però c’è, ed è di due tipi. Una materiale, l’altra più impalpabile ma non meno importante.
La prima sta nelle opere che la città ha visto realizzarsi grazie all’esposizione. La Darsena, per fare un esempio. Deciso dalla giunta di Letizia Moratti (la stessa che con Romano Prodi e Roberto Formigoni ha portato Expo a Milano), e compiuto da quella di Giuliano Pisapia, il rifacimento di quello che era il porto fluviale di Milano ha offerto l’occasione per una risistemazione completa della zona. Un restilyng che ha ottenuto l’entusiasta (fin troppo per i residenti) approvazione di quanti hanno scoperto uno spazio in più da vivere. E poi la metropolitana M5. Da anni vagheggiata, impostata, ha ottenuto grazie all’esposizione universale i fondi necessari alla sua costruzione. L’ultima stazione viene aperta in questi giorni e aumenta i collegamenti e le possibilità per quanti non vogliono usare l’auto. Un’altra eredità è la pedonalizzazione della zona del Castello Sforzesco. Polemiche a parte, è stata creata una zona pedonale ampia e continua nel centro storico, conquistata con slancio da residenti e turisti. Già, i turisti. Agli inizi del 2015, il New York Times indicava Milano come il primo del luoghi da visitare nel 2015. Una bella sfida per una città che non aveva nel suo Dna la capacità di evocare, con il solo nome, il desiderio di una visita. Eppure, e qui sta il mezzo miracolo, la metropoli ha saputo adattarsi con un entusiasmo incredibile a questa sfida. E i risultati le hanno dato ragione. Secondo una ricerca pubblicata nei giorni scorsi dalla Camera di Commercio, Milano è piaciuta a 9 turisti su 10. Anzi è stata classificata 'da non perdere'. Un record ottenuto convincendo non solo gli italiani ma anche una bella fetta di stranieri. Gente abituata a viaggiare come giapponesi, cinesi, cittadini Usa e del Sud America e naturalmente europei. Conquistati dai musei, dai trasporti, dalla facilità di spostamento, ma soprattutto dall’accoglienza ricevuta che si merita un 8 su una scala di 10. Ma è l’eredità immateriale che resta quella più importante per Milano. Il primo assaggio si è avuto all’inizio dell’esposizione. Il 1 maggio alcune zone del centro erano state sfregiate dalla manifestazione dei No Expo. Dalla massa dei contrari si era staccato un gruppo di delinquenti - ogni altra definizione va loro stretta - che aveva devastato strade e imbrattato palazzi, rotto vetrine e appiccato fuoco ad auto e negozi. La sera stessa un piccolo gruppo di cittadini è sceso in piazza per porre rimedio alle devastazioni. Il giorno dopo questo gruppo è diventato una folla di migliaia di persone che con scope, vernice, sacchi della spazzatura e una quantità industriale di buona volontà, si è data da fare per ripulire muri, sistemare vetrine, raccogliere cocci. Un appuntamento ripetuto più volte che ha dato la prova della volontà dei milanesi di offrire il volto migliore della città a chi arrivava per Expo. Una convinzione che si è ripetuta in piena estate quando la Stazione Centrale e le zone limitrofe sono state prese d’assalto da migliaia di profughi che passavano per Milano nella speranza di raggiungere il nord Europa. Anche qui la risposta dei cittadini è stata immediata e di concerto con le autorità (prefettura e Comune in primis) è stata stesa una rete di solidarietà encomiabile. Si dirà che tutto questo è nel sangue stesso dei milanesi da prima di Expo. Tutto vero. Ma l’Esposizione e la consapevolezza di avere gli occhi del mondo addosso è stata occasione per mostrare quello che sapevano fare. Ovvero tramutare un problema in opportunità con impegno comune e dedizione. Da Capitale morale, appunto.