martedì 9 giugno 2015
Il Parlamento europeo ha adottato la «Strategia per l’uguaglianza di genere» nella quale si chiede tra l’altro che «la diversità di genere nei bambini non sia definita patologica».
SECONDO NOI L’implacabile verbo del «genere» detta legge anche sui bambini
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Riconoscere le famiglie gay e la libera scelta del "genere" anche da parte dei bambini, garantire il "diritto" all'aborto. Sono solo alcuni dei punti del rapporto del Parlamento Europeo sulla «Strategia dell'Unione europea per l'eguaglianza tra l'uomo e la donna dopo il 2015», preparato dalla socialdemocratica tedesca Maria Noichl. Un testo che chiede alla Commissione europea di preparare una strategia con l'obiettivo – sacrosanto – di «porre fine a tutte le forme di discriminazione subite dalle donne nel mercato del lavoro per quanto riguarda salari, pensioni, ruoli dirigenziali, accesso ai beni e ai servizi, riconciliazione della famiglia con la vita lavorativa, e a tutte le forme di violenza contro le donne». Solo che, come ormai sempre più spesso accade al Parlamento europeo, il testo è stato strumentalizzato per portare avanti tutt'altra agenda, forzando i limiti della sussidiarietà sanciti dal Trattato Ue, che indica il diritto familiare come esclusiva competenza degli Stati membri. Non è un caso se il documento sia passato alla plenaria a Strasburgo con una maggioranza piuttosto risicata, 341 sì, 281 no e 81 astensioni. Secondo vari osservatori, se si fosse trattato di un testo legislativo (dunque cogente) anziché di un rapporto che non ha valore vincolante, molte delle astensioni sarebbero diventate dei no, e l'esito sarebbe stato diverso. Per la cronaca, i Popolari – che avevano presentato un testo alternativo, bocciato, in cui si sottolineava il rispetto del principio della sussidiarietà – hanno votato in modo piuttosto compatto contro (anche se si contano 18 sì). Tutti compatti i Popolari italiani. Contrario anche il gruppo dei Conservatori, mentre a favore ha votato tutto il centrosinistra, incluso il gruppo dei Socialisti e Democratici, in cui sono compresi i rappresentanti del Pd italiano, con le sole eccezioni di Luigi Morgano e Damiano Zoffoli che hanno votato no e Michela Giuffrida che si è astenuta. I paragrafi contestati, con pesanti intromissioni nel diritto di famiglia degli Stati membri, sono numerosi, soprattutto con una massiccia presenza dell'ideologia del gender (non si nasce maschi o femmina per natura, il sesso è un fattore socio-culturale che si sceglie, e si cambia, a piacimento). Così si chiede alla Commissione di «assicurare che gli Stati membri attivino il pieno riconoscimento del genere preferito dalla persona, incluso il cambiamento del nome proprio, del numero di assicurazione sociale e altri indicatori di genere nei documenti di identità». E, anche – qui l'invito è rivolto anche all'Organizzazione mondiale della sanità – di «rimuovere i disordini di identità di genere dalla lista dei disordini mentali e comportamentali» nonché «di assicurare che la diversità di genere nei bambini non sia definita patologica». Nel mirino è anche la famiglia "tradizionale": il Parlamento, recita il testo, «raccomanda che, visto che la composizione e la definizione delle famiglie cambia nel tempo, la legislazione familiare e del lavoro sia resa più comprensiva per quanto riguarda i genitori single e quelli Lgbt». Corollario: il rapporto chiede di «porre fine alla discriminazione all'accesso ai trattamenti di fertilità e di riproduzione assistita», in riferimento ai limiti di accesso a queste cure alle coppie non eterosessuali in vari Paesi (Italia compresa). Non poteva naturalmente mancare l'aborto, apertamente incluso nei diritti fondamentali (mentre non è così nei testi internazionali vigenti): il rapporto esorta la Commissione ad «assistere gli Stati membri ad assicurare servizi di alta qualità, geograficamente appropriati e facilmente accessibili nell'area della salute sessuale e riproduttiva, e il diritto a un aborto sicuro e legale e alla contraccezione».

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