Dubbi, il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, ne ha tanti sulla partenza della fecondazione eterologa delle Regioni. Bene l’accordo, bene i criteri condivisi e il Far West scongiurato, ma «non sono serena». Perché prima dei dibattiti ideologici ci sono le persone, e quelle – le coppie in cerca di un figlio, i bimbi che nasceranno – «a mio parere non sono tutelate». E come potrebbero, da quello che è un semplice atto regolatorio, che prevede limiti ma non sanzioni, potrà essere impugnato in qualsiasi tribunale e sostanzialmente demanda alla responsabilità dei singoli centri la tutela della salute? «La verità è che l’eterologa parte in una situazione artigianale, poco conforme agli standard qualitativi altissimi della sanità italiana».
Dunque la sua opinione in merito all’accordo raggiunto tra le Regioni, che di fatto ha bypassato una legge del Parlamento, non è positiva...Sono soddisfatta che i contenuti riprendano in buona sostanza gran parte del mio decreto legge, che era esclusivamente sanitario, ma ci sono delle criticità. L’accordo ha il vantaggio di offrire criteri condivisi per le Regioni che vogliono partire subito in modo uniforme, nell’attesa che il Parlamento legiferi, dopo la decisione del Cdm di non procedere con atti del governo. Ha però il limite che, non essendo una norma di legge, non può obbligare alla tracciabilità completa donatore-nato, né istituire il Registro Nazionale dei Donatori, con tutte le garanzie sanitarie connesse, e comunque non è vincolante. D’altra parte tutte le istituzioni, dal governo alle Regioni stesse, hanno confermato la necessità di una legge. Condivido a questo proposito la richiesta del presidente Chiamparino di sollecitare le Camere per colmare al più presto il vuoto normativo nell’interesse della salute delle coppie e dei bambini che nasceranno.
In merito ai contenuti delle linee guida, il ministero le condivide?Innanzitutto è bene capire che non si tratta affatto di linee guida. Il documento condiviso ieri dai presidenti delle Regioni sulla fecondazione eterologa è un provvedimento autonomo, che sarà poi utilizzato come riferimento dalle singole Regioni per uniformare gli atti amministrativi interni sulla fecondazione eterologa. Non è vincolante. Non va confuso con le linee guida, che sono un provvedimento amministrativo che attua norme di legge e che – condiviso fra lo Stato, le Regioni e le Provincie Autonome – ha valore vincolante. Le linee guida della legge 40, invece, ancora diverse, sono previste espressamente dalla 40 stessa: devono essere messe a punto dal ministero della Salute, che si avvale della collaborazione dell’Istituto Superiore di Sanità, e su di esse deve esprimere un parere il Consiglio Superiore di Sanità. In questo caso le Regioni non sono coinvolte.
Quali sono i punti dell’accordo tra le Regioni che la preoccupano di più?Il fatto stesso che l’accordo fra le Regioni non sia una legge crea problemi: tracciabilità completa e registro dei donatori sono elementi fondamentali per l’attuazione in piena sicurezza dell’eterologa. Senza un coordinamento, di fatto sarà possibile dichiarare di aver donato gameti in una Regione e poterlo fare anche in tutte le altre. Ho sempre sostenuto la necessità del Registro per la sicurezza delle donazioni, specie per quelle con gameti importati. Nell’attesa, chi vorrà partire con le indicazioni delle Regioni si dovrà assumere tutte le responsabilità del caso.
Dunque a oggi, dal suo punto di vista, le coppie non sono tutelate nell’intraprendere questo percorso?A mio parere no, e non sono serena. Ma c’è un altro punto molto delicato.
Quale?Nelle indicazioni cliniche per l’accesso all’eterologa previste dalle Regioni si spiega che riguarderebbe anche coppie che hanno avuto ripetuti tentativi falliti di fecondazione omologa, o embrioni o gameti di scarsa qualità. Ricordo che la sentenza della Corte Costituzionale non parla di «eterologa per tutti», ma di condizioni di sterilità assoluta. Sicuramente i medici devono avere tutta l’autonomia nell’esaminare i singoli casi, e valutare se ci sono o meno le condizioni di una sterilità assoluta. È però anche vero che non ci può essere un automatismo fra fallimenti di omologa e accesso all’eterologa. Si tratta di percorsi profondamente differenti, che coinvolgono le coppie in modo diverso, e che implicano problematiche differenti nei nati: è necessario esserne consapevoli.
E poi c’è il problema dei costi...Sì, anche perché se tutte le omologhe fallite diventassero richieste di accesso all’eterologa i costi per il servizio sanitario non sarebbero calcolabili. Nel decreto che avevo predisposto era specificato l’inserimento dell’eterologa nei Livelli essenziali di assistenza, e si era anche trovata la copertura economica fino a che i Lea non fossero stati aggiornati. Senza decreto, ogni Regione dovrà trovare le risorse per tutto questo, fermo restando che sono solo otto quelle senza piani di rientro, che quindi hanno margini di manovra nella gestione dei fondi. Insomma: senza una legge, chi paga?
Passiamo a un altro punto decisivo della questione. C’è il rischio di una deriva eugenetica nei criteri fissati per la selezione dei donatori?Mi sono opposta fin dall’inizio al catalogo dei donatori, che infatti le Regioni non prevedono. Certo, se per garantire la compatibilità fra donatore e ricevente si dovessero scegliere carnagione, occhi e capelli, magari confrontando le foto, quello che abbiamo fatto uscire dalla porta rientra dalla finestra. Vedremo come si muoveranno i centri. Io rimango dell’idea che su questo argomento debba essere il Parlamento a stabilire i limiti.
La possibilità di questa selezione è prevista, per esempio, nella delibera della Regione Toscana.Su questo devono rispondere gli amministratori della Regione Toscana.
Prima dell’estate, proprio ad Avvenire, lei ha dichiarato l’intenzione di promuovere un Piano per la fertilità che comprenda un percorso educativo più ampio per le coppie, con la sensibilizzazione necessaria sui temi del concepimento e della procreazione soprattutto per i giovani. Sta prendendo corpo?Abbiamo emanato il decreto ministeriale di costituzione e il gruppo di lavoro sarà presentato proprio nei prossimi giorni.
Un altro punto che sta particolarmente a cuore al dibattito pubblico da mesi a questa parte è la spinosa questione di Stamina. A che punto sono i lavori del comitato ministeriale?Attendiamo per la fine del mese i risultati del comitato.
E per quanto riguarda invece la questione della “marijuana di Stato”, che a quanto pare sarà prodotta dall’Istituto farmaceutico militare di Firenze, qual è la sua opinione in merito?Ho già detto in passato d’essere d’accordo sull’impiego di farmaci derivati da cannabis a uso esclusivamente terapeutico. È evidente che questo non può e non deve essere confuso con la liberalizzazione dell’uso della marijuana tout court, cui sono fermamente contraria. Il centro di Firenze ha tutti gli standard per procedere in sicurezza.