Quella del carcere è un’esperienza che tutti dovrebbero provare. I giovani in particolare. Non quella di rimanere dietro le sbarre, s’intende. Ma quella di entrare in un istituto di pena o in una casa circondariale e rimanerci per qualche ora. Incontrare le persone. Incrociare gli sguardi. Ascoltare le storie. Tentare di comprendere ragioni e percorsi. Mettersi in sintonia con un mondo che troppo spesso ci è estraneo, “di periferia e di confine”, come è stato definito qualche giorno fa ad Ascoli, davanti a una folta schiera di giornalisti. Ancora una volta, per capire bisogna esserci.
E per parlarne e scriverne, pure. Come capita ai tanti cappellani in giro per l’Italia e alla schiera di volontari che ogni giorno frequentano questi luoghi-non luoghi che molti vorrebbero rimuovere dalla mente e dal territorio. Un tempo non troppo lontano erano situati in centro città, in vecchie fortezze. Oggi per lo più sono relegati ai margini, circondati da alte inferriate e da una terra di nessuno, alla quale ci si avvicina con tremore. Oltrepassare le dieci porte blindate che conducono alla saletta del convegno crea una certa apprensione. Quando si chiudono dietro le spalle rimane un senso di impotenza. Ci si sente un po’ prigionieri.
Solo allora si inizia a comprendere cosa si può vivere stando là dentro, senza la possibilità di uscire dopo poche ore. Eppure, ogni occasione è un’opportunità da non perdere, come appunto è capitato con il corso di formazione organizzato nel carcere di massima sicurezza di Ascoli. Anzi, da sfruttare per andare oltre i pregiudizi. Le vicende di Tony, Antonio e Giampiero hanno avuto il merito di fare cadere i muri e di avvicinare i cuori. Lì, senza più sbarre nel mezzo, ci si sente tutti uguali.
Non esistono più barriere. Ricordo una famosa frase di don Oreste Benzi che mi martella la mente quando parlo di certi argomenti: «Quanti poveri disgraziati vanno in galera perché rubano contro la legge, ma quanti sono quelli che si fanno le leggi per rubare e avere un pubblico riconoscimento?». Al termine dell’incontro di Ascoli ho lasciato una dedica. «A tutti i detenuti: voi siete dentro e io fuori. Vi guardo negli occhi e mi chiedo perché».