«Eluana, ben tornata nella terra del tuo papà, dei tuoi nonni. La tua comunità ti accoglie». Sono da poco passate le due del pomeriggio quando la Mercedes grigia si inerpica sul monte di Paluzza, paese natale degli Englaro, e consegna Eluana alla chiesetta di San Daniele, ultima tappa di un viaggio tormentato che sembrava infinito. Poco prima, appena giunta da Udine, era passata per via Nazionale e davanti a una casa gialla a due piani aveva sostato qualche istante. È la dimora storica degli Englaro, dentro Saturna e Beppino condividevano l’ultimo strazio, da quelle finestre vedevano allontanarsi per sempre la loro unica figlia. «Eluana, ben tornata...». Quando la bara coperta di rose rosse si ferma ai piedi dell’altare, forte la voce del parroco don Tarcisio Puntel si rivolge a lei chiamandola per nome, e la gente quasi trasale. Non c’è ressa ad aspettarla, duecento persone potrebbe contenere la chiesetta e duecento ne contiene: fuori soltanto fotografi e cameraman, a loro l’ingresso è vietato. È salita a piedi, la gente di Paluzza, così come i giornalisti, probito anche l’accesso alle macchine, questione di sicurezza... Eppure adesso che Eluana è tutta lì, serena e rasserenante, così lontana dai clamori dei vivi, sembra venuto da un altro mondo quel dispiegamento di polizia, carabinieri, Guardia di finanza, Protezione civile, persino di artificieri che ieri mattina avevano «bonificato » la chiesetta di montagna: tutto sproporzionato, tutto inutile, straniero, qui. Siamo in Carnia, cielo blu e montagne cariche di neve ancora candida. Luce e colori guizzano dentro dalle piccole vetrate e li diresti inopportuni per quel funerale, certo più fosco e drammatico nel resto d’Italia che qui, dove sereno è anche don Tarcisio quando, subito all’inizio, chiarisce: «Un funerale cristiano proclama sempre la vita. Cristo è risorto, ecco cosa siamo qui a proclamare oggi: l’uomo non finisce, rinasce in Dio. Celebriamo una vita, la vita di Eluana». A un passo da lei, inconsolabile, lo zio Armando insieme ai suoi due figli. Ha il viso di Beppino, solo non consumato da anni di sofferenza né scavato dalle angoscie. Eppure lo guardi e pensi che un padre non potrebbe soffrire di più. È lui che ha convinto il fratello a non cremare il corpo di Eluana e a concederle un rito religioso, è per rispetto al suo desiderio che Beppino alla fine ha accettato, pur restando fermo nella scelta di aspettare da casa che tutto fosse compiuto. «Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, senza la mia carne, io vedrò Dio...», viene letto sull’altare, e le parole di Giobbe ora suonano le più adatte alla lunga vicenda umana che qui si conclude: alla pazienza di Eluana, a quella di chi soffriva per lei, e a quella di chi la accudiva. Alla pazienza di chi sempre sperava e di chi non sperava più da molti anni. «I miei occhi lo contempleranno non da stranieri», è la promessa che oggi consola, e lo zio Armando per la prima volta non trattiene più i singhiozzi. Il Vangelo è di Matteo, e nei mille volti del discorso della Montagna riconosci sempre lo stesso, quello di Eluana: beati gli afflitti, beati i miti, beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, beati i puri, e i perseguitati. Appartiene agli ultimi il Regno dei Cieli e chi più ultimo di quella vita umile, fragile, così bambina da dover dipendere per 17 lunghissimi anni dall’amore altrui? «Rallegratevi, perché vostra è la ricompensa nei cieli». È un’omelia difficile quella che spetta a don Tarcisio, forse la più compli- della sua vita, e il clima è di attesa. «Sorelle, fratelli, non so quali parole vi attendiate da me in questo momento così particolare, carico di interrogativi - esordisce infatti. E l’attesa adesso aumenta - . Non mi intendo di medicina né di politica, so un po’ di filosofia ma non sono un teologo. Sono solo un uomo che ha fatto un cammino di fede, e ieri notinvece te, inginocchiato davanti al Crocifisso, ho chiesto ispirazione. Il mistero del dolore che abbiamo innanzi agli occhi è così profondo che è difficile dargli una risposta. Lui su quella croce ce l’ha fatta, diventando fonte di vita e speranza: quanti malati nelle case di cura, quante famiglie guardando lui trovano forza e speranza?». Clamori e passioni rimangono fuori dalla chiesa, domani riprenderanno, ma qui no, «oggi è l’ora dell’umiltà. Passate le polemiche, ora c’è il silenzio e tutti noi ci troviamo ognuno di fronte alla propria coscienza, che spero sia educata al rispetto della vita e della persona. In questi ultimi mesi non abbiamo fatto altro che parlare di Eluana, tutti a dire la nostra, scontrandoci in modo forte, tutcata ti pensando di avere la risposta giusta. Adesso è il momento di chinare il capo, di chiedere a Dio di illuminarci attraverso i dubbi e le incertezze della vita, di tornare a camminare insieme come fratelli». Eluana, quel corpo di cui tanto si è discusso, ora è lì protetta dagli sguardi nella sua bara, ma non ha smesso di rivolgersi a noi, di chiamare in causa il nostro pensiero e le coscienze, soprattutto di muovere il nostro affetto, «e se lo merita, perché dal suo letto lei ci ha parlato - ricorda il sacerdote - ci ha fatto capire che ci sono tanti fratelli ancora che hanno bisogno del nostro amore...». È una cerimonia raccolta, pochi amici ma veri, ma proprio per questo è intensa. Struggenti diventano le preghiere quando il parroco invita a cantarle «nella nostra lingua friulana », tagliente a volte, affilata come i carnici, ma poi schietta e che arriva diretta al cuore di tutti, anche dei giornalisti, i soli giunti da regioni lontane. « Pari nestri che tu seis l’Eterno, ch’a sei fate la to volontat... », è il momento del Padre nostro, « danus voi il pan ch’al covente e perdone las nostes tristeries... ». Poi toccherà al canto del commiato, « l’ultim salut », che si fa supplica per Eluana: « Dopo i tormenz di cheste vite tenle par simpri cun tei, Signor », e a nessuno occorre traduzione. « Ancje par nou a ven la zornade quanche il Paron nus clamarà », verrà il giorno anche per noi... Alla fine di tutto, quando anche il canto tace ed Eluana si appresta ad attraversare il prato bianco di neve per raggiungere la tomba di famiglia subito fuori la chiesetta, sul colle di Paluzza, «cara Eluana – si rivolge per l’ultima volta a lei don Tarcisio prima di uscire – ora ’tu te sei in veritat’, conosci più di noi, perché tu vedi coi tuoi occhi quello che noi soltanto speriamo e vediamo con la nostra fede. So che dal cielo farai sentire la tua presenza alla tua mamma e al tuo papà. Quella tua stanzetta di Lecco non resterà vuota di te...». Carabinieri e polizia che l’hanno «presidiata» prima a Lecco e poi a Udine, scortata ieri a Paluzza, infine vegliata fuori dalla chiesa, ora che Eluana compare sulla porta si mettono sull’attenti. Saluto militare. Lei non l’avrebbe mai immaginato. Ma quante cose non avrebbe immaginato? Nella tomba di famiglia ieri hanno calato la nostra Eluana. Riposa accanto ai suoi nonni.