«È la persona a essere il centro della nostra visione di una società giusta e libera». 20 marzo 1996. Manca un mese alle elezioni politiche che vedranno l’affermazione dell’Ulivo di Romano Prodi. Con la scomparsa della Dc, lo smarrimento regna nel mondo cattolico. Indietro non si torna. Ma per guardare avanti occorrono una bussola e dei punti di riferimento. Così alcuni media d’ispirazione cattolica stilano una sorta di manifesto con dieci parole chiave: con Avvenire ci sono Il Cittadino di Lodi, L’Eco di Bergamo, la Fisc (Federazione dei settimanali cattolici), l’agenzia Sir, il Corallo (le radio libere), News Press.
In assenza di un grande evento nazionale o internazionale, il 1996 per noi è l’anno della riflessione dei cattolici consapevoli sulla politica. Sul fatale smarrimento. Sul rischio che la nostalgia li imprigioni. Sulla necessità di guardare avanti in modo intelligente. A questo servono le dieci parole che, con qualche aggiustamento, probabilmente valgono anche 22 anni dopo. Scrivono i promotori: «Dieci parole chiave, strumenti per capire e scegliere in vista del voto politico del 21 aprile».
Ed eccole, le parole che Avvenire pubblica a pagina 5.
Si deve partire dalla persona (1). Il rispetto della vita (2) come valore di base della società civile. La famiglia (3), architrave e risorsa fondamentale della società civile. La solidarietà (4), attraverso la condivisione delle ricchezze. Il lavoro (5), strumento di autorealizzazione della persona, e l’iniziativa economica. Un fisco giusto (6), non vessatorio né ricattatorio. Le autonomie (7): «La fiducia del cittadini si riacquista attraverso un nuovo equilibrio nei rapporti tra i poteri dello Stato all’insegna del federalismo solidale e con una seria riforma che restituisca efficienza agli uffici e ai servizi pubblici». La cultura (8), che si tramanda e si rigenera nella scuola, vero e proprio investimento per il futuro. L’ambiente (9), contro le esasperazioni del profitto. L’orizzonte europeo (10).
Nella stessa pagina, Antonio Giorgi raccoglie il commento di due sociologi, Giorgio Campanini e Franco Garelli, e dello storico Giorgio Rumi. Ognuno di loro sottolinea che le parole sono per tutti. Campanini: «Non siamo in presenza di una iniziativa finalizzata alla difesa degli interessi dei cattolici. Nelle dieci parole si avverte una tensione alla difesa degli interessi di tutta la collettività». Rumi: «Siamo in presenza di principi di diritto naturale riaffermati con forza». Garelli allarga il tiro: «Bisognerebbe mettere in discussione il modello complessivo di sviluppo del Paese, altrimenti i punti potrebbero restare lettera morta».
Le dieci parole hanno l’ambizione di restare un punto di riferimento ben oltre il 21 aprile. È l’opinione di Pio Cerocchi (21 marzo), consapevole del «disorientamento di alcuni milioni di cittadini-elettori». Il manifesto, «con la sua semplicità "catechistica", segna il perimetro entro cui può (e "deve") darsi una rifondazione di cultura politica di ispirazione cattolica». Cerocchi è realista e sembra presagire quel che accadrà un mese dopo: «Quella che attraversiamo è una condizione di minorità, probabilmente più severa delle colpe, pur gravi, che ne sono la causa. Ma non si può fare finta che non ci sia. Per superarla bisogna ripartire con tenace umiltà dall’abc dei valori. Il resto è illusione».
Minoranza. E pure «modesta». Lo sa bene anche Carlo Casini, che scrive queste parole a tre giorni dal voto (18 aprile): «Alla pochezza del numero bisogna supplire con l’intelligenza, la tenacia, la determinazione». E domanda: «Ma i cattolici, ovunque si trovino, non dovrebbero avere una identica energia, passione, strategia?». Minoranza conclamata all’indomani del voto. A Ppi, Udc e Ccd sono andate le briciole. Luigi Geninazzi (23 aprile) intervista Rumi. Che ne è dei partiti d’ispirazione cristiana? E che fine hanno fatto i voti dei cattolici? Nostalgia? «Nient’affatto – scuote il capo lo storico –, la nostalgia è una malattia dell’anima che in certi casi può essere mortale». Prodi però è un cattolico... «Una ridotta incidenza non può essere compensata dalla leadership. E il rischio di una subalternità dei cattolici è sempre più concreto». Conclusione di Rumi: «Oggi il mondo cattolico ha una ricchezza indubbia di manifestazioni ma è come se questa presenza sociale non riuscisse a incidere sul politico. C’è una perdita di identità civile».
Gli farà eco Giuseppe De Rita il 27 giugno: «Ognuno per sé e qualcuno per tutti, sembra essere il codice comportamentale dei cattolici e delle loro diverse configurazioni associative; e la cosa non può non portare smarrimento, o almeno erraticità, delle opzioni culturali e politiche». Guai però a farsi imprigionare dal passato: «Lo smarrimento non si cura con la nostalgia, si affronta piuttosto guardando in avanti, con un po’ di forza psichica e di determinazione culturale». Quelle che forse ancora mancano ai cattolici italiani. Nel 1996 e non solo.