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L’affluenza da record negativo, attorno al 40% e in calo vertiginoso rispetto alla tornata precedente, non intacca i “pronostici della vigilia” e dopo il voto di settembre il centrodestra fa bottino pieno anche nelle regionali per il Lazio e la Lombardia. Una sconfitta sonora per la coalizione avversaria, probabilmente anche peggiore delle attese, che l’astensionismo, da solo, non giustifica e certamente non attenua. Già nel pomeriggio le prime proiezioni danno Francesco Rocca e Attilio Fontana, i candidati espressione della maggioranza, oltre il 50% e a poche ore dalla chiusura dei seggi arrivano anche i complimenti della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, gratificata da un risultato che «rafforza il governo e consolida lo schieramento».
Numeri che costringono all’ammissione della sconfitta da parte degli sfidanti molto prima del termine della conta delle schede. Quando si capisce che il gap non può essere colmato Alessio D’Amato, sostenuto nel Lazio dal Terzo polo e dal Pd, chiama Rocca promettendo un’opposizione corretta e guardando già a un «fase nuova». Da Milano intanto Pierfrancesco Majorino, in corsa per dem e 5 stelle, non può fare altro che constatare la «vittoria netta» del governatore uscente.
«La democrazia c’è, perché nel momento in cui c’è espressione del voto si realizza – esulta invece Fontana –. Bisogna smettere di delegittimare la politica. Dobbiamo cercare di essere più vicini ai cittadini per far capire che il loro voto è comunque importante. Penso che questo buon risultato sia dovuto al fatto che ho sempre dialogato con tutte le componenti della Regione». «Grazie a Giorgia Meloni per avermi messo subito nella terna. E per avermi scelto. E grazie anche a Fabio Rampelli, Paolo Trancassini, Nicola Procaccini – sono invece le parole a caldo di Rocca dal quartier generale del Salone delle Fontane –. Grazie anche a D’Amato che mi ha chiamato e ha detto che farà una leale opposizione». Esulta anche il vicepremier leghista Matteo Salvini (il primo a farlo anticipando la chiusura dei seggi), così come Antonio Tajani, che fa le veci di un Silvio Berlusconi silente e nell’occhio del ciclone per le dichiarazioni sul presidente ucraino Zelensky.
Sulla sponda opposta partono quasi subito le recriminazioni per un ex campo largo scisso in due varianti (dem e 5 stelle al Nord e dem e Terzo polo al Centro), che certamente non ha convinto gli elettori. Parte così l’inevitabile tutti contro tutti, con Enrico Letta che parla di «un’opa contro il Pd» che «ha nuociuto a chi l’ha fatta» e di un «tentativo ripetuto, ma non riuscito, di sostituire» il suo partito «come forza principale dell'opposizione». «Il Pd ottiene un risultato più che significativo – prosegue il segretario –, dimostra il suo sforzo coalizionale e respinge la sfida di M5s e Terzo polo». Carlo Calenda, da parte sua, sfoggia maggior fair play, quando ammette che «non c’è mai stata partita». «Sono convinta che ci sia spazio per ricostruire una proposta politica nuova e che dalla Lombardia partirà questa proposta – si consola Letizia Moratti –. Penso che nei prossimi giorni sarà importante rivedere le diverse liste per capire il peso del voto civico. Credo che in democrazia si vince e si perde, ma si vince comunque se ci si mette in gioco anche con coraggio in posizioni scomode». A fare la sintesi ci pensa il senatore democratico Antonio Misiani su Twitter: «In Lombardia e nel Lazio astensione a livelli drammatici. Netta vittoria della destra. Netta sconfitta di tutte le forze di opposizione. Divisi si perde! Capito, Conte, Renzi e Calenda?».
In serata dalla sede del comitato di Donatella Bianchi, terza per la corsa alla Pisana, il presidente grillino Giuseppe Conte respinge le accuse al mittente: «Da parte del Pd c'è molta concentrazione sulla nostra performance. Ascoltare il redivivo Letta rendere dichiarazioni entusiastiche, sembra stappare bottiglie di champagne sulla performance del Pd, francamente se immaginiamo in particolare il Lazio dove c'è un candidato indicato da Letta e Calenda, che consegnano la Regione al centrodestra, avrei poco da festeggiare». L’unica consolazione per i dem sta nella possibilità per chi andrà al Nazareno dopo Letta di ripartire da zero. Stefano Bonaccini lo sa e lo dice apertamente: «La sconfitta di oggi è in continuità con quella delle politiche del 25 settembre scorso, dove un Pd ridotto e un campo progressista diviso regalano un'altra vittoria alla destra, anche quando è in difficoltà».