Il prezzo del voto, quello che per la Costituzione dovrebbe essere «personale, uguale, libero e segreto», è una vacanza in Italia. Così pare, stando a una denuncia che arriva dall’Australia e, dopo il caso Di Girolamo, getta nuove ombre sul sistema elettorale che consente dal 2006 agli italiani residenti all’estero di votare per la Camera e il Senato. In un video visto da
Avvenire, una parte del quale è apparsa l’altroieri anche su You Tube, i responsabili di alcune associazioni che riuniscono i laziali residenti nello stato di Victoria rivelano di aver partecipato a brogli estesi e ripetuti nel tempo. Affermano di aver raccolto, sia nel 2006 sia nel 2008, pacchi di schede elettorali e di averle consegnate ad emissari di due candidati del Pd nella circoscrizione Africa-Asia-Oceania-Antartide, Marco Fedi, eletto alla Camera, e Nino Randazzo, eletto al Senato. Gli accusati smentiscono, si dichiarano estranei alla vicenda e denunciano per diffamazione gli accusatori. Un processo si aprirà a breve a Roma.Nel video, i testimoni raccontano, dunque, di voti ceduti in cambio di viaggi in Italia, finanziati dalla Regione Lazio, e di non meglio precisati "favori" ai club che hanno raccolto le schede elettorali; spiegano come abbiano convinto i loro connazionali a consegnare le schede che ciascun elettore iscritto al registro degli italiani residenti all’estero avrebbe dovuto compilare «personalmente e segretamente», prima di rispedirle in busta chiusa; citano luoghi e momenti in cui sarebbe avvenuta la consegna; descrivono dove e come la «catena di montaggio» le avrebbe compilate... Il sistema descritto è esteso quanto il bush australiano e l’impressione che si ricava è che ad alimentarlo c’è uno strano mix: la nostalgia per la madrepatria e la superficialità con cui viene gestito il voto dei nostri emigranti. «Mi dicevano – ricorda Salvatore Marrocco, consigliere dell’associazione Laziali nel Mondo –: raccogli tra amici e compari le buste del Consolato, loro non sanno quello che fanno...». Un altro consigliere, Paolo Sepe, racconta di aver recuperato tra i connazionali una trentina di buste con le schede e di averle consegnate, «chiuse come le aveva inviate il Consolato». In un’altra occasione, aggiunge, «siamo stati convocati in una sala di Brunswick», dove si si consegnavano le buste e si veniva registrati ma, spiega, «nessuno di noi ha votato. Votavano quelli che stavano seduti al tavolo». Insomma, seggi clandestini nel cuore di associazioni legate a Consolati e a governo australiano: «Noi siamo andati a votare al Coasit di Melbourne, in Faraday Street – dice Paolo Grosso, stessa associazione –. Ho presentato il passaporto e uno mi ha detto metti una firma qua, su un registro, e poi mi ha detto che potevo andarmene. La scheda elettorale non l’ho vista proprio. Al Coasit c’era una fila... uno dietro l’altro, passavano, firmavano, andavano via». Anche Salvatore Marrocco è stato lì: «E non riuscivamo a parcheggiare, perché c’era troppa gente».La raccolta delle schede, secondo questi testimoni, avveniva alla luce del sole: «Al ristorante La Porchetta di Carlton, quando ci hanno chiesto le buste, c’era il comitato intero dell’associazione, se ne è parlato davanti a tutti quanti, c’erano Vince Pitoggi, Sal Marrocco, Paolo Sepe...», ricorda Attilio Riccardi, presidente dell’Associazione Laziali nel Mondo del Victoria, che parla di «mille voti mandati a Sydney in aereo».Uno dei "premi" per chi collaborava, sempre secondo queste accuse, sarebbe stata la partecipazione ai viaggi organizzati per i nostri emigranti dalla Regione Lazio. Per questo, il bersaglio delle accuse, oltre a Fedi e Randazzo, è Antonio Bentincontri, il consultore che gestisce i rapporti tra la Regione e le associazioni australiane da 18 anni. Bisogna dire che contro di loro, per il momento, ci sono solo queste testimonianze e l’avvocato Gian Michele Gentile di Roma, legale di Fedi e Randazzo, ricorda che la Procura di Roma ha già chiesto un rinvio a giudizio per diffamazione. Tuttavia, gli accusatori, guidati da Maurizio Maietti, un ex poliziotto dello Stato di Victoria, non demordono: minacciano di produrre «centinaia» di testimonianze oculari, invocano perizie calligrafiche, divulgano su Internet verbali al vetriolo, accusano lo Stato di foraggiare associazioni inesistenti... Nel kangoroo-gate, se confermato, non finirebbe insomma solo il sistema di voto degli italiani all’estero ma anche la gestione dei fondi pubblici che alimentano le associazioni degli emigranti: oltre ai finanziamenti della Regione Lazio, ci sono i fondi del governo australiano che transitano attraverso il Coasit e le attività commerciali che ruotano intorno al sentimento nazionale. Un piatto ricco, che fa gola. La polizia dello Stato di Victoria starebbe già indagando. «I brogli non sono una novità nella nostra circoscrizione», dice Teresa Restifa, candidata dal Pdl, sconfitta per duemila voti. Due anni fa aveva chiesto di riesaminare lo scrutinio della circoscrizione: «Abbiamo verificato – ci dice – che 2.000 schede erano partite da Sydney ed erano arrivate a Roma, ma non erano state scrutinate. Parallelamente, ne sono sparite 1.500 partite dal Sudafrica». Il riconteggio, a quanto risulta, non è mai avvenuto.