mercoledì 8 aprile 2009
Leggi e procedure decise negli anni scorsi sono rimaste lettera morta: la priorità doveva andare ai luoghi strategici. Ma a L’Aquila sono crollate la prefettura e la caserma dei carabinieri. Dopo San Giuliano un’ordinanza della Protezione civile chiariva tempi e modi delle verifiche: nel 2004 stop per assenza fondi.
COMMENTA E CONDIVIDI
«È fatto obbligo di procedere a verifica, da effettuarsi a cura dei rispettivi proprietari, sia degli edifici di interesse strategico e delle opere infrastrutturali la cui funzionalità durante gli eventi sismici assume rilievo fondamentale per le finalità di protezione civile, sia degli edifici e delle opere infrastrutturali che possono assumere rilevanza in relazione alle conseguenze di un eventuale collasso. Le verifiche dovranno essere effettuate entro cinque anni dalla data della presente ordinanza e riguardare in via prioritaria edifici ed opere ubicate nelle zone sismiche 1 e 2». Fa un certo effetto leggere queste parole, contenute nell’ordinanza di Protezione civile n.3274 del 20 marzo 2003, davanti al crollo della prefettura, della questura, dell’ospedale, del palazzo di giustizia, della caserma dei carabinieri. Proprio gli edifici che dovevano essere verificati. Proprio per evitare che crollassero. E proprio in aree ad alto rischio, come l’Aquila che si trova in zona sismica 1, la più pericolosa. Ma di anni ne sono passati più di sei e la verifica non è stata fatta. Anzi è stata fatta per poco meno di un decimo degli edifici e delle strutture previste: appena ottomila (tra i quali duemila scuole) su 70mila. Il motivo? I soldi stanziati, appena 273 milioni di euro, sono bastati solo per due anni, il 2003 e il 2004, poi nessun governo ha pensato di rifinanziare la verifica, nè regioni e enti locali. E ci si è fermati. Eppure quell’ordinanza, approvata dopo il colpevole crollo della scuola di San Giuliano di Puglia e la morte di 27 bambini e della loro maestra, aveva dato tempi certi. «Entro sei mesi dalla data della presente ordinanza il Dipartimento della protezione civile e le regioni provvedono, rispettivamente per quanto di competenza statale e regionale, ad elaborare, sulla base delle risorse finanziarie disponibili, il programma temporale delle verifiche, ad individuare le tipologie degli edifici e delle opere...ed a fornire ai soggetti competenti le necessarie indicazioni per le relative verifiche tecniche, che dovranno stabilire il livello di adeguatezza di ciascuno di essi rispetto a quanto previsto dalle norme». Era il primo passo, per poi passare al previsto piano straordinario di messa in sicurezza antisismica. Ma il passo si è fermato per strada. Malgrado il successivo 29 ottobre 2003 fosse stato realmente approvato il decreto del presidente del consiglio che indicava criteri e modalità della verifica.Ma cosa andava controllato? In primo luogo gli edifici di interesse strategico, quelli che non devono crollare per non mettere in ginocchio il Paese in caso di un forte terremoto. E necessari per i soccorsi. Si tratta di quelli che ospitano organismi governativi, uffici territoriali di Governo (le Prefetture, appunto), caserme dei Vigili del fuoco, Forze armata e Forze dell’ordine, strutture ospedaliere, l’Agenzia per la protezione dell’ambiente, il Registro italiano dighe, l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, il Cnr, la Croce rossa, il Soccorso alpino, l’Anas, la Rete ferroviaria, il Gestore della rete elettrica, le società produttrici di energia elettrica, le associazioni di volontariato di protezione civile.Poi viene l’elenco delle opere infrastrutturali: autostrade, strade statali, aeroporti, porti, grandi stazioni ferroviarie, acquedotti, elettrodotti, oleodotti, gasdotti, impianti di trasmissione radio-tv e telefonia. Quindi la lista, ancor più grande, di edifici che in caso di collasso provocherebbero un gran numero di morti: scuole, uffici frequentati dal pubblico, chiese, musei, biblioteche. E ancora strutture il cui crollo potrebbe provocare gravi danni ambientali come le ex centrali nucleari, gli impianti industriali a rischio di incidente rilevante e le grandi dighe. Si doveva controllare tutto, privilegiando le zone 1 e 2, e gli edifici costruiti prima della normativa che, dopo il sisma dell’Irpinia del 1980, aveva cambiato profondamente i criteri costruttivi antisismici. Per questi edifici, si leggeva nel lunghissimo decreto (pieno di complicate modalità tecniche), andavano «effettuati sopralluoghi volti alla conoscenza ed al rilievo della struttura. Andranno inoltre raccolte tutte le informazioni e la documentazione disponibile sul sito di costruzione, sull’epoca e sulle trasformazioni (sopraelevazioni, ampliamenti, modifiche strutturali) e gli interventi subiti dalla struttura». Sembra la fotografia dell’ospedale de L’Aquila, frutto di trasformazioni andate avanti dagli anni ’70 al 1999. Ottime intenzioni. Ma poi i soldi sono finiti. Chi avrebbe dovuto tirarli fuori? Stato, enti pubblici, regioni e enti locali. Ma di quel provvedimento ci si è rapidamente dimenticati. Fino ai clamorosi crolli di due giorni fa. Proprio degli edifici che non avrebbero dovuto crollare. Eppure, ha detto il premier Berlusconi nella sua prima conferenza stampa a L’Aquila, «tutti gli edifici pubblici sono inagibili».E l'ospedale «moderno» finisce sotto accusa. Tocca a un membro della Commissione nazionale grandi rischi, Gian Michele Calvi, esperto di costruzioni in zone sismiche, ufficializzare l’assoluta inadeguatezza dell’ospedale San Salvatore de L’Aquila. «Nell’ospedale ci sono stati danni importanti che secondo la filosofia moderna sono inaccettabili, soprattutto perché oggi si ritiene che un ospedale (dopo un sisma) debba non solo non crollare ma anche garantire la funzionalità nei momenti di emergenza», ha spiegato Calvi, precisando che probabilmente già stasera alcune aree del nosocomio, quelle meno danneggiate, potranno essere riaperte. La struttura era considerata uno dei fiori all’occhiello della sanità della zona e invece si è resa sostanzialmente inagibile sin dalle prime ore dell’emergenza. «Questo è un ospedale con parti costruite secondo criteri degli anni ’60, ’70. In Italia si è cominciato a introdurre la logica secondo cui un ospedale deve funzionare (anche) post evento (sismico) nel 2003. Prima nel nostro Paese questa logica la si conosceva a livello scientifico», ha puntualizzato Calvi sottolineando che «forse non è ancora il momento di andare a cercare responsabilità».Ieri Calvi, assieme a un gruppo di ingegneri, ha effettuato una serie di perizie per valutare il livello di sicurezza dell’ospedale, dove al momento del sisma c’erano circa 200 persone, e per verificare quali aree possono entrare in funzione a breve. «Stiamo facendo delle valutazioni di sicurezza sulle caratteristiche dei materiali», ha precisato Calvi che poi ha aggiunto: «Ho visto barre lisce che non sono più state utilizzate in Italia dagli anni ’80 e non posso pensare che quelle parti siano state costruite 10 anni fa».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: