Il DDl Zan è in discussione al Senato - Ansa
Pubblichiamo qui una sintesi dell’audizione sui ddl Zan e Ronzulli del professore Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, da parte della commissione Giustizia del Senato, il 30 giugno scorso.
Ambedue i testi tendono, con modalità diverse, ad attribuire una speciale protezione penale a categorie di persone considerate vulnerabili. Il ddl 2205 (Ronzulli) mediante l’introduzione di una nuova circostanza aggravante (nell’art. 61 del Codice penale), che riguarderebbe qualsiasi reato commesso per «aver agito in ragione dell’origine etnica, credo religioso, nazionalità, sesso, orientamento sessuale, disabilità (…)» della persona offesa.
Il ddl 2005 (Zan), già approvato dalla Camera, estenderebbe a nuove figure – di ciascuna delle quali viene data una definizione ai fini della legge (sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere) – il reato previsto dall’art. 604 bis del Codice penale (propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica o religiosa). Ritengo comune a tutti e due i ddl l’orientamento a rafforzare mediante norme penali la protezione di determinate categorie di persone, in un ambito che l’art. 3 della Costituzione considera, con una espressione generale, eguaglianza senza distinzioni di sesso o di condizioni personali. Ma anche la convinzione che si debba salvaguardare, si direbbe ovviamente dal punto di vista costituzionale, la libertà di manifestazione del pensiero in tutte le sue modalità ed espressioni.
L’articolo 4, che dovrebbe tutelare il pluralismo delle idee,
In materia penale, il principio costituzionale di stretta legalità (art. 25 della Costituzione) implica che stabilire quali fatti costituiscono reato è frutto di una scelta eminentemente politica, rimessa esclusivamente al Parlamento, sulla quale non ho veste per esprimermi. Segnalo invece che, dal punto di vista tecnico, il medesimo principio costituzionale richiede chiarezza e precisione nella descrizione legislativa delle fattispecie di reato.
In proposito, osservazioni sono state fatte nel dibattito pubblico, alcune anche in questa sede, da autorevoli penalisti, indipendentemente dal loro orientamento ideologico o culturale – ricordo ad esempio Giovanni Fiandaca o Giovanni Maria Flick – e confido che quanto è stato già osservato sia tenuto presente e valutato. Per parte mia, mi limito a proporre alcune considerazioni su due aspetti del ddl Zan.
Mentre l’altro ddl, il n. 2205 (Ronzulli), introducendo una nuova circostanza aggravante, inserita nel- l’art. 61 del codice penale, non sollecita le medesime osservazioni. L’art. 4 del testo Zan rende evidente la preoccupazione di non incidere sulla libertà di manifestazione del pensiero. Lo segnala la stessa rubrica dell’articolo 'Pluralismo delle idee e libertà delle scelte'. Tuttavia non sembra raggiungere questo obiettivo e rischia anzi di restringere l’ambito delle garanzie per la libertà di manifestazione del pensiero.
Infatti il testo dell’articolo 4 contiene un limite che intenderebbe circoscrivere l’ambito sanzionato penalmente – e se correttamente inteso come tale dovrebbe essere inserito nel codice penale in connessione con la norma incriminatrice – stabilendo che «ai fini della presente legge sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte»; ma subito dopo stabilisce un contro limite: «purché non idonee a determinare il concreto pericolo di atti discriminatori o violenti».
Nella prima parte della disposizione, dunque, la formula «libera espressione di convincimenti od opinioni» sembrerebbe voler comprendere un pluralità di situazioni riferibili a diversi diritti costituzionali, e anzitutto la generale libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 della Costituzione). Tuttavia la specificità della protezione di altri diritti solleciterebbe una formulazione che si riferisca espressamente ad essi. In particolare andrebbe considerate la libertà della ricerca, della scienza e dell’insegnamento (art. 33 della Costituzione), la libertà di educazione (della quale sono primi titolari i genitori: art. 30 della Costituzione e art. 2 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo), la libertà del magistero ecclesiastico (assicurata dall’art. 2 dell’Accordo di revisione del Concordato) che comprende anche la espressione di una visione antropologica ed etica.
Per questi aspetti il testo dell’art. 4, nella sua prima parte, potrebbe essere opportunamente integrato, richiamando in modo specifico i diritti di libertà ai quali è assicurata la salvaguardia. La seconda parte dell’art. 4, stabilendo un limite alle libertà che intende rispettare nella sua prima parte, prescinde totalmente dalla intenzione, dalla volontà, dal contesto di chi esprime il proprio pensiero, stabilendo una responsabilità oggettiva per il pericolo di un fatto che altri possano commettere, di discriminazione o violenza, indipendentemente anche da una connessione temporale e di contesto tra la manifestazione del pensiero e il pericolo che essa determinerebbe.
Ne risulta accresciuta l’incertezza sull’ambito delle condotte punite penalmente, che tra l’altro potrebbe suscitare la propensione ad usare lo strumento della denuncia penale per colpire la manifestazione di orientamenti dissenzienti rispetto a tesi sgradite o dominanti, quale che ne sia l’orientamento. Da qui l’esigenza di migliorare la formulazione dell’art. 4, e di rendere quanto meno precisa e meno controvertibile la salvaguardia che con tale disposizione si intende introdurre. La formula dell’art. 4 potrebbe essere completata (e se ne suggerisce l’inserimento nel Codice penale come art. 604 ter) secondo il seguente tenore: «In nessun caso può costituire reato l’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, delle libertà educativa, di ricerca e di insegnamento, di esercizio del magistero ecclesiastico, salvo che si tratti di condotte dirette a (o aventi lo scopo di) determinare il concreto pericolo di atti discriminatori o violenti».
L’art. 7 del ddl Zan riguarda l’istituzione della giornata contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e transfobia (è una scelta politica sulla quale, ancora una volta, non ho veste per esprimermi), e stabilisce che le scuole provvedano alle relative attività, «nel rispetto del piano triennale dell’offerta formativa di cui al comma 16 dell’art. 1 della legge 13 luglio 2015 n. 107». Il piano, come definito nella stessa legge (art. 1, comma 14), è «il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curriculare, extracurriculare, educativa e organizzativa che le singole scuole adottano nell’ambito dell’autonomia scolastica». È da premettere in proposito che rientra nei compiti formativi della scuola educare al rispetto della dignità di ogni persona e al rispetto dell’ eguaglianza di tutti gli individui senza alcuna distinzione.
Le modalità di questo percorso educativo rientrano nella libertà della scuola e nella scuola; né possono essere oggetto di una attività formativa il cui orientamento non rispetti la responsabilità dei genitori negli indirizzi educativi, quale espressione del loro diritto e dovere previsto dall’art. 30 della Costituzione, e più puntualmente precisato dall’art. 2 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per la quale «lo Stato, nell’esercizio delle funzioni che assume nel campo dell’educazione e dell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di assicurare tale educazione e tale insegnamento in modo conforme alle loro convinzioni religiose e filosofiche».
Per quanto riguarda le scuole istituite dalla Chiesa cattolica, è da ricordare che «a tali scuole che ottengano la parità è assicurata piena libertà» (art. 9, n.1 dell’Accordo di revisione del Concordato). Si segnala la opportunità che l’art. 7, comma 3, del ddl Zan mantenga espressamente queste garanzie e assicuri che le attività riferite a tale disposizione rispettino la libertà della scuola e dell’insegnamento, l’indirizzo educativo dei genitori e gli impegni internazionali dello Stato.