Tra un anno, il prossimo 4 maggio 2025, verrà celebrata la prima Giornata nazionale dell’affido familiare. Il ddl, presentato dalla senatrice Elisa Pirro (M5S) sta raccogliendo consensi trasversali e non dovrebbe incontrare ostacoli ideologici. Buona notizia? Solo se non sarà una celebrazione di facciata ma sarà accompagnata da un rilancio concreto di questo istituto. A questo puntano le 19 associazioni del Tavolo nazionale affido che martedì prossimo, nel corso di una conferenza organizzata in Parlamento, chiederanno un’attuazione piena della legge, la ratifica della Linee di indirizzo approvate ormai tre mesi fa dalla Conferenza Stato-Regioni e mai decollate, la promozione di iniziative per far conoscere questa realtà al di là dei luoghi comuni e delle campagne negative scatenate dopo il caso Bibbiano.
Riallacciare il dialogo con la politica
Ma come si fa a rilanciare l’affido in una società sempre meno attenta ai problemi dei minori e dove il numero delle famiglie accoglienti sembra assottigliarsi? Come convincere le coppie ad aprirsi alla solidarietà quando il tasso di fragilità e di disgregazione familiare appare sempre più in salita e, al contrario, la sensibilità delle istituzioni in discesa. Il Tavolo nazionale affido ha steso un programma ben definito. Innanzi tutto, riallacciare il dialogo con la politica. Se l’affido familiare funziona, se gli interventi sono tempestivi ed efficienti, se i controlli vengono fatti in modo scrupoloso, se l’accompagnamento delle famiglie affidatarie viene assicurato con costanza e metodo, tutti ne traggono vantaggi. A cominciare dai bambini in difficoltà e dalle loro famiglie d’origine. Per proseguire con le coppie affidatarie e tutte le istituzioni coinvolte (servizi sociali, Comuni, Regioni, centri per l’affido, tribunali per i minorenni).
Le associazioni sono consapevoli che non esiste una ricetta facile per far funzionare tutto al meglio, ma serve una complessità di interventi capaci di armonizzare i compiti di tutti i soggetti coinvolti. E non si tratta di un impegno da poco perché il dialogo tra enti locali, servizi, apparato giuridico e professionisti della cura, proprio per la mancanza di riferimenti certi, validi da Nord a Sud, è un aspetto di grande delicatezza. Sostenere le famiglie affidatarie, per esempio, che dovrebbe essere uno dei punti fermi dell’operazione rilancio, rischia di diventare un annuncio senza contenuti se non esiste uniformità neppure sull’ammontare dei contributi.
Diversità e incongruenze da Nord a Sud
Oggi capita che alcuni Comuni – è il caso della Lombardia e della Sardegna – chiedano alle famiglie la presentazione dell’Isee per stabilire la quota spettante. Richiesta non contemplata dalla legge e che contrasta con il valore del gesto solidale da sostenere indipendentemente dal reddito familiare. In altre Regioni vale la quota minima della pensione Inps. Ma ci sono anche Comuni virtuosi dove si concedono integrazioni per l’accoglienza di un bambino disabile o affetto da altre patologie.
Ecco perché, accanto alle famiglie disponibili – che secondo le valutazioni del Tavolo nazionale non mancherebbero a fronte di un sistema efficiente e trasparente – ci devono essere istituzioni ed enti disponibili a guardare all’affido non come scelta residuale, ma come mezzo privilegiato in ambito educativo, preventivo ed assistenziale.
Inutile approfondire il significato educativo e quello assistenziale la cui rilevanza non dovrebbe aprire la strada a interrogativi, mentre l’aspetto preventivo – e su questo insisteranno martedì anche le associazioni del Tavolo nazionale – merita qualche chiarimento.
Il grande snodo della prevenzione
Una famiglia problematica che non riesce più ad assicurare ai propri figli mantenimento, cure, educazione, tenerezza, vicinanza fisica e morale, ha il diritto di essere aiutata. L’ideale sarebbe che gli interventi dei servizi sociali fossero realizzati all’insegna di una comune disponibilità. Quella della famiglia in difficoltà e quella della famiglia affidataria. In questo caso la nuova coppia assicura provvisoriamente al minore – la legge dice per un massimo di due anni – quell’attenzione e quell’accudimento che non trova più nel nucleo familiare d’origine, con il consenso dei genitori naturali. I rapporti non solo non si interrompono, ma trovano nuove modalità espressive a beneficio di tutti. Ecco il senso dell’intervento preventivo. Non succede spesso, purtroppo. Le stime, in assenza di statistiche certe – un altro buco del sistema a cui si tenta da anni di rimediare – parlano di 3 casi su 10. Nelle altre sette occasioni l’affido è deciso dal giudice minorile con un allontanamento forzato del minore. Rilanciare il sistema degli affidi, responsabilizzare le istituzioni, disporre di servizi sociali più efficienti – oltre il contestato sistema dei consorzi con incarichi a progetto – significa prevenire gli allontanamenti e chiudere la lunga stagione dei sospetti aperta dopo il caso Bibbiano, quando la parola affido era diventata sinonimo di furto dei minori.
Non operatori ma risorsa solidale
Ecco perché – e si tratta di un altro punto che verrà approfondito durante la conferenza di martedì – il Tavolo nazionale insiste sul valore della famiglia affidataria come “risorsa della solidarietà” e non come strumento delle istituzioni. Il grande rischio è che la generosità alla base del gesto solidale venga scambiata per momento programmato. Le famiglie accoglienti non operano nell’ambito di un servizio pubblico ma sono risorse che il servizio pubblico deve sostenere e valorizzare. Martedì, le proposte del Tavolo nazionale affido, saranno presentate da Valter Martini, Frida Tonizzo, Liviana Marelli, Enrica Pavesi e Alessandra Moscato.
Nuovi dati che non fanno ben sperare
Il confronto tra le associazioni e la politica potrà partire da una serie di dati aggiornati. Il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha diffuso nei giorni scorsi i numeri relativi all’affido familiare e ai minori presenti in comunità e nei servizi residenziali per minorenni. Al 21 dicembre 2021 i ragazzi fuori famiglia erano complessivamente 27.329.
La precedente rilevazione (31 dicembre 2019) parlava di 27.608 minori. Quindi tra il 2019 e il 2021 gli affidi familiari vedono un -2,3% (da13.555 a13.248), mentre resta pressoché identico il numero di minori collocati in comunità (14.053 del 2019 rispetto ai 14.081 del 2021). Negli ultimi 25 anni il numero più alto di affidi familiari è stato toccato nel 2007, con 16.420 minori, quello più basso nel 2020, con 12.815, risultato dell’effetto Bibbiano. Il prezzo più alto è stato naturalmente pagato in Emilia Romagna, dove gli affidi sono calati del 18 per cento a livello regionale e del 32 per cento nella provincia di Reggio Emilia. Ora il calo limitato al 2,3 per cento a livello nazionale sembra segnare una piccola inversione di tendenza. Ma è azzardato affermare che il terremoto scatenato dall’inchiesta dell’estate 2019 è solo un ricordo del passato. Sia perché negli ultimi quattro anni il ricorso all’affido familiare è rimasto minoritario rispetto alla destinazione nei servizi residenziali - al contrario dei vent’anni precedenti - sia perché la parola fine sul caso dei presunti “affidi illeciti” la potranno scrivere solo i magistrati. E ci vorranno anche molti anni. Comunque troppi.