Bija (in alto, a sinistra) durante i festeggiamenti per la sua scarcerazione e promozione al grado di maggiore, l'11 aprile 2021 - Facebook
La scarcerazione del boss Abdurahman al-Milad “Bija”, promosso al grado di maggiore della Guardia costiera libica a Zawyah, anziché calmare le acque ha galvanizzato i trafficanti, che proprio dalla fascia costiera tra Zawyah, Zuara e Tripoli hanno moltiplicato le partenze di barconi. Ma sul conto di Bija emergono altre imbarazzanti conferme riguardo i contatti riservati con le autorità italiane.
Le Nazioni Unite e l’Ue hanno appena confermato le sanzioni per a-Milad, che prevedono il congelamento dei beni (richiesta mai eseguita da Tripoli), oltre al divieto di espatrio. Nella scheda del Comitato per le sanzioni del Consiglio di sicurezza Onu viene citata anche l’Interpol, che rispondendo ad Avvenire dice di «non commentare casi specifici se non in circostanze straordinarie». Poiché il nome di al-Milad non figura nel database pubblico, dal quartier generale di Lione dell’Organizzazione internazionale di polizia criminale rispondono così: «Si prega di notare che molti “red notice” (gli avvisi rossi, ndr) non sono resi pubblici». Tecnicamente la “red notice” - in archivio ve ne sono 62.000, di cui 7.000 pubblicate - è una richiesta alle forze dell'ordine di tutto il mondo «di individuare e arrestare provvisoriamente - spiega Interpol - una persona in attesa di estradizione, consegna o analoga azione legale».
Nel divulgare le restrizioni internazionali per il guardacoste accusato di essere anche trafficante di uomini, petrolio e armi, e la cui milizia “al Nasr” è sospettata di contatti con la criminalità organizzata internazionale, comprese le mafie italiane e quelle maltesi, viene indicato per la prima volta il numero di passaporto del comandante Aburahman al-Milad (Bija). In passato le Nazioni Unite non erano riuscite a ottenere e avere conferma ufficiale del documento di identificazione internazionale di al-Milad. Non stavolta: G52FPYRL.
Quel numero, così come la data di emissione e quella di scadenza, corrisponde esattamente a quello con cui il boss libico nel 2017, come mostra il dettaglio del visto concesso in quell’anno e che qui pubblichiamo, ottenne dal Ministero degli Esteri attraverso l’ambasciata di Tripoli il permesso per partecipare a una serie di incontri a porte chiuse in Italia.
Il 16 ottobre 2019, nel corso di contatti piuttosto turbolenti con Avvenire, lo stesso Bija, che nell’occasione fornì un numero di cellulare con prefisso di Malta, respinse le accuse: «Sono stato offeso. Per venire da voi ho avuto un visto regolare, con documenti autentici. Dire che ho nascosto la mia identità è una menzogna». Ora l’Interpol e il Comitato per le sanzioni del Consiglio di sicurezza, confermano che il documento utilizzato era quello tuttora in corso di validità. Dunque, non si trattava né di un falso né di un modo per aggirare i controlli adoperando una traslitterazione fuorviante del nome originale.
Una delle imagini dell'incontro riservato a cui al-Milad partecipò a Mineo (Catania) nell'aprile del 2017 - Avvenire
Non si tratta di un dettaglio secondario. La legittimazione anche internazionale di cui hanno goduto diverse milizie libiche ha permesso di rafforzare le posizioni dei capiclan che in questi giorni stanno ricattando l’Italia e l’Europa a colpi di barconi e stragi, mentre sfidano platealmente il nuovo governo Tripoli. Due giorni fa uomini armati hanno assediato l’Hotel Corinthia della capitale libica, che funge da quartier generale del Consiglio presidenziale libico. La prova di forza delle milizie, secondo i media locali è stata inscenata per intimidire la ministra degli Esteri Najla al-Mangoush, che ha chiesto ai mercenari e ai combattenti stranieri dislocati nel Paese, comprese le truppe turche, di farsi da parte. Altri media hanno ridimensionato l’episodio, sostenendo che i capi dell’operazione "Vulcano di collera" -l’alleanza di milizie che con l’aiuto turco difesero Tripoli dal fallito attacco del generale Khalifa Haftar - si erano diretti verso il consiglio presidenziale per discutere «alcune questioni».