L’iniziativa «Uno di noi» dovrebbe approdare formalmente già lunedì 17 febbraio alla Commissione europea, con la consegna della certificazione delle firme di 20 stati membri (su 28). Quando all’appello mancano ancora alcuni Paesi, le firme certificate sono circa 1.600.000, il totale finale dovrebbe aggirarsi intorno a 1.800.000. Un risultato notevole, visto che le norme del nuovo trattato di Lisbona – che per la prima volta ha creato l’istituto dell’iniziativa popolare – prevede come soglia minima un milione di firme raccolte in non meno di 7 Paesi.
Ana Del Pino, spagnola, coordinatrice esecutiva dell’iniziativa, si dice fiduciosa nel positivo completamento delle certificazioni per poter presentare la petizione alla Commissione europea nel quadro di un’audizione pubblica, con tutta la forza di un numero imponente di adesioni. Peraltro, la coordinatrice fa notare che in tutti i Paesi «in media oltre l’80% delle firme è stata convalidata dalle autorità, e per l’Italia si è arrivati al 98%». La presentazione delle firme certificate alla Commissione sarà l’occasione per illustrare nuovamente le due proposte legislative sottoscritte da quasi due milioni di persone (una per lo stop ai finanziamenti Ue ai programmi di ricerca Ue che implichino la distruzione di embrioni umani, ad esempio per l’utilizzo di staminali embrionali, e una per lo stop al finanziamento di programmi di cooperazione allo sviluppo che sostengano l’aborto). «Abbiamo voluto rendere la vita più semplice alla Commissione – spiega Del Pino – presentando non quesiti generici o principi vaghi, ma testi legislativi già pronti». La Commissione avrà tre mesi di tempo per prendere posizione in materia, ma, spiega Del Pino, «dai nostri contatti è emerso che la Commissione non vuole aspettare la scadenza dei tre mesi, ma rispondere in poche settimane». Gli organizzatori mostrano ottimismo: come viene fatto notare, è la prima volta che si usa lo strumento dell’iniziativa popolare, creato proprio per ridurre il divario democratico tra cittadini e istituzioni Ue, e sarebbe singolare se la Commissione si mostrasse ostile di fronte a una così massiccia adesione. C’è però un problema di calendario istituzionale. La Commissione europea attualmente in carica termina il suo mandato a novembre, mentre il Parlamento europeo si scioglie già ad aprile in vista delle europee di maggio. Così, anche se la Commissione cercasse di affrettare i tempi per presentare un suo testo legislativo, dovrà comunque aspettare il pieno insediamento del nuovo Parlamento europeo, che si inaugura a luglio. Non è improbabile, insomma, che il dossier alla fine passerà alla nuova Commissione, alla quale starà poi di portarlo avanti. Dunque al Comitato europeo per «Uno di noi» la parola d’ordine è: vigilanza.