martedì 13 agosto 2019
A Civitavecchia la lotta alle tossicodipendenze funziona da anni grazie anche al coinvolgimento delle famiglie, a Bologna aprirà uno spazio ad hoc per under 18: viaggio tra le strutture in prima linea
Droga, l'emergenza minori. Poche comunità specializzate
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Civitavecchia, Modena, San Patrignano. In un’Italia nella quale le strutture che si occupano della tossicodipendenza dei minori sono quasi introvabili, esistono realtà di altissimo livello. Ma sono troppo poche. Le innumerevoli droghe presenti sul mercato riescono ad arrivare a un pubblico sempre più giovane, costituito da adolescenti e preadolescenti, a volte quasi bambini. Con il decentramento, poi, ogni Regione ha introdotto regole diverse in ambito sociale e sanitario, dando origine a evidentissime disparità su tutto il territorio nazionale nell’accreditamento delle comunità e, di conseguenza, sul trattamento dei ragazzi. In molte zone mancano completamente strutture specializzate, malgrado l’impegno degli operatori: «In Liguria dopo oltre due anni di richieste e di pressioni – spiega Enrico Costa, il presidente Ceis di Genova – finalmente dovremmo arrivare alla pubblicazione di un bando per istituire una comunità di recupero per gli adolescenti. È fondamentale ampliare il budget sanitario, senza togliere risorse agli interventi per gli a- dulti, che già oggi sono insufficienti ».

A Civitavecchia, fin dal 1990 la Comunità Il ponte si occupa di ragazzi tossicodipendenti, ispirandosi alla filosofia di “Progetto Uomo”della Fict (Federazione italiana delle comunità terapeutiche). «Il nostro – spiega uno dei responsabili della comunità, Massimiliano Zano – è un metodo di gruppo, per il quale i ragazzi restano sempre insieme e si confrontano. Dagli incontri emergono spesso grandi sofferenze e grandi dolori, che vanno ascoltati e accolti senza esprimere giudizi». Il percorso è articolato in diverse fasi. Il primo passo è l’accoglienza, che dura circa circa sei mesi, necessaria per arrivare ad eliminare le terapie sostitutive, motivare al cambiamento e ridare regolarità alla loro vita.

La seconda fase, più ampia, consiste in un anno residenziale e poi in un altro anno semiresidenziale fino ad arrivare al reinserimento definitivo a casa, accompagnato da incontri di gruppo settimanali. «La famiglia è considerata coterapeuta – spiega un’altra responsabile della comunità, Maura Cecere – e i genitori devono essere disponibili a lavorare insieme a noi per il bene dei loro figli, rielaborando il senso di colpa e di fallimento e prendendo coscienza del problema. Oltre agli incontri di gruppo, proponiamo loro anche dei weekend strutturati e una settimana residenziale in comunità dedicata a loro. Se il metodo funziona con i genitori, funziona anche con i figli, perché il percorso risulta condiviso da tutti».

Un esempio positivo arriva anche dall’Emilia Romagna, dove a breve aprirà una nuova comunità dedicata esclusivamente ai ragazzi. Ad anticiparlo è padre Giuliano Stenico, il presidente Fondazione Ceis: «Fino ad ora abbiamo inserito i minori nelle comunità degli adulti, pur proponendo loro attività differenziate per età. È stato molto utile, ma i giovani dipendenti oggi sono in continua crescita e spesso presentano gravi disturbi psichiatrici o della personalità. E tra di loro ci sono anche moltissime ragazze ». Anche a San Patrignano si lavora con i più giovani. Le strutture socio-educative per minori sono dedicate a situazioni di disagio generale, ma quasi sempre la droga è uno dei problemi da risolvere. «Il metodo – spiega Azzurra Di Bennardo, coordinatrice del centro minori maschile – è simile a quello che utilizziamo per gli adulti, con attività di formazione professionale, ma lasciando maggiore spazio alle attività ludiche e allo sport. I più giovani ricevono il modello comportamentale da chi si trova in comunità da più tempo e intraprendono con maggiore fiducia il proprio percorso».

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