martedì 2 febbraio 2021
Sono due le opportunità possibili per un recupero di credibilità da parte di una classe politica che appare ai minimi storici nel pieno della pandemia
Mario Draghi

Mario Draghi - Ansa

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Sono due le opportunità possibili per un recupero di credibilità da parte di una classe politica che appare ai minimi storici nel pieno della pandemia. In ordine cronologico, la prima è stata offerta dall’ingresso in campo dell’Arbitro. La regia del Quirinale ha segnato il passaggio dalle dichiarazioni via smartphone, rivolte ciascuno ai propri aficionados, al confronto avviato finalmente nelle sedi istituzionali, con colpevole ritardo e animi ormai esacerbati. Andata a vuoto questa, l’ultima opportunità, sotto forma di costrizione fuori tempo massimo, verrebbe imposta dallo spread e dalle ondate speculative che rischiano di abbattersi sul nostro già martoriato Paese se l’avvitamento su sé stessa della legislatura dovesse rivelarsi irrisolvibile.

L’avvio dell’esplorazione del presidente della Camera Roberto Fico ha segnato un iniziale salto di qualità: veti (formalmente) saltati, per porre al centro le diverse visioni che si fronteggiano nella (ex) maggioranza, di fronte alle immani sfide che abbiamo davanti. Una trattativa che resta dall’esito incerto, decisivo certamente sarà l’ultimo miglio. Nel frattempo però si registra la maldestra e diffusa tendenza di ritorno, di rivolgersi ai propri 'tifosi' con modalità diverse, mettendo in giro congetture, retropensieri, con l’ausilio della diffusione di notizie non verificate. Ha comportato una smentita secca del Quirinale quella secondo la quale Mattarella nei giorni scorsi avrebbe pre allertato Mario Draghi. Sono state messe insieme una cosa vera e una non vera. È vero che l’ex presidente della Bce e l’attuale capo dello Stato sono legati da una stima e una sintonia profonda. A nessuno sfugge, ad esempio, che nel messaggio di Capodanno le parole di Mattarella (che ha auspicato una programmazione «concreta, efficace, rigorosa, senza disperdere risorse», volta a «superare fragilità strutturali») richiamavano quasi alla lettera la ricetta di Draghi.

Quel che non è vero però, ed è stato smentito, è che Mattarella abbia sentito Draghi in questi giorni in relazione diretta o indiretta con la crisi in atto. Un governo di larghe intese, che ricalchi in qualche misura l’alleanza che regge la Commissione Europea, è la soluzione forte che sarebbe in linea con la drammaticità della situazione, e avrebbe una sua ragionevolezza ulteriore nel fatto che è proprio nel rapporto con l’Unione che il prossimo esecutivo si giocherà gran parte delle sue chance di riuscita. Ma proprio perché si tratta di una prospettiva seria, occorrerebbe maggiore prudenza prima di tirare in ballo l’ex presidente della Bce e il Quirinale. A ben vedere, sul taccuino di Mattarella quella di un governo 'istituzionale', o di larghe intese, è una soluzione alla quale si è resa disponibile, e nemmeno come opzione principale, la sola Italia Viva.

Non l’hanno presa in considerazione le forze della ex maggioranza, né l’ha considerata la pletorica delegazione del centrodestra, di fatto consegnata, almeno in questa fase, al mantra del voto anticipato. A che vale allora accreditarla in via ufficiosa, dopo non aver dato disponibilità nelle consultazioni con il capo dello Stato? Nelle ricostruzioni lo 'spettro' di Draghi, paradossalmente, viene usato da entrambi i contendenti per fini opposti. A Palazzo Chigi il suo nome verrebbe evocato (al netto delle smentite) come 'pericolo' da scongiurare, per ricompattare il M5s sul Conte ter. Viceversa, per Renzi sarebbe funzionale a tranquillizzare i suoi, escludendo che Conte sia davvero l’ultima carta. E così la soluzione più 'alta' rischia di naufragare nel vortice dei tatticismi.

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