Il premier Draghi e Giuseppe Conte - Ansa
La crisi del governo Draghi era già preannunciata da diverse settimane, visti i numerosi attriti nati tra il leader del M5s e il presidente del Consiglio. Attriti cominciati nei mesi scorsi già sull’onda delle ripetute critiche avanzate dall’ex presidente della Bce a misure come il Superbonus edilizio del 110%, ma anche per via della corsa al Quirinale lungo la quale i grillini non avevano granché assecondato l’aspirazione del capo del governo a "salire di grado".
Tutto è deflagrato, però, con il risultato deludente del Movimento 5 stelle alle elezioni amministrative di giugno: già dopo il primo turno il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, fu molto critico verso la gestione politica di Conte. I contrasti interni detonano il 21 giugno, quando al Senato si vota la risoluzione sull’Ucraina prima del Consiglio Europeo a Bruxelles. Di Maio decide di lasciare portandosi dietro una sessantina di parlamentari.
Con l’uscita dal Movimento dell’ex capo politico Di Maio, gli attriti tra Conte e Draghi aumentano d’intensità. La situazione era peggiorata poi a seguito delle dichiarazioni rilasciate del sociologo Domenico De Masi che, in un’intervista al Fatto quotidiano, rivela: Beppe Grillo, fondatore del Movimento, mi ha riferito che Draghi gli ha chiesto "la testa" di Conte e cioè di rimuovere dall’incarico l’attuale leader del M5s. Accuse che il premier aveva smentito, mentre si trovava a Madrid per il vertice della Nato, dopo lunghe ore d’incertezza, solo a sera, con tanto di ritorno precipitoso a Roma mentre, dopo aver sollevato il vespaio, dalla capitale se ne andava improvvisamente Grillo, interrompendo a metà la sua missione "di dialogo" con i vertici pentastellati.
Malgrado la smentita ufficiale (per quanto tardiva), l’intervista porta a smuovere le acque all’interno della maggioranza. E si comincia a discutere di "appoggio esterno" dei grillini alla maggioranza. Un’ipotesi che Conte rafforzava dando degli ultimatum a Draghi per far guadagnare credito al Movimento, a partire dal rinnovo del Superbonus del 110% o dal rafforzamento del reddito di cittadinanza. Sembrava, a un certo punto, che la crisi potenziale di governo fosse in qualche modo rientrata.
Una svolta arriva mercoledì 6, con il documento in 9 punti in cui sono condensate le ragioni del «profondo disagio politico» del M5s a far parte di questa maggioranza. Un cahier de doleances che Conte è finalmente riuscito a declinare al premier la scorsa settimana, a voce e per iscritto. Il documento è subito reso pubblico sul sito del M5s ed elenca quali dovranno essere gli interventi dell’esecutivo per evitare che la frattura diventi insanabile.
Dietro l’angolo c’è però lo scoglio del decreto Aiuti, contenente sovvenzioni per 17/18 miliardi di euro legate alla crisi bellica, ma anche una serie di misure sgradite ai 5 stelle. Il giorno dopo, giovedì scorso, il testo incassa alla Camera il via libera alla fiducia, ma lunedì M5s si astiene sul voto finale al provvedimento. Mercoledì si riunisce per più di 5 ore il Consiglio nazionale dei 5s: si spera in un ripensamento, complice anche una nuova telefonata fra Conte e Draghi, ma a sera il primo annuncia che la decisione è confermata. E così a Palazzo Madama, ieri, i 61 senatori 5s non partecipano al voto. Di fatto, è l’apertura ufficiale della crisi. <+SIGLR50>(r.r.)
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