Daniela Santanchè - Ansa
In questi casi non c’è una regola, in assenza di una condanna definitiva nessuno è obbligato a dimettersi da una carica pubblica. Si lascia la decisione, come si dice, alla sensibilità della persona coinvolta.
Nel caso in questione, la ministra del Turismo Daniela Santanchè ha assicurato ieri al Senato di non aver ricevuto nemmeno un avviso di garanzia, anche se sarebbe indagata per le travagliate vicende del gruppo imprenditoriale Visibilia, da lei guidato fino a poco prima del giuramento da ministra della Repubblica.
E poco cambia che, in passato, la sensibilità di altri ministri sia stata diversa dalla sua: vengono alla mente i nomi di Federica Guidi, di Josefa Idem, di Maurizio Lupi. Detto per inciso, nessuna delle vicende che li spinsero a lasciare l’incarico ha poi avuto conseguenze giudiziarie, per diversi motivi. Ma tutti e tre ritennero giusto (o più probabilmente ingiusto, ma necessario) fare un passo indietro, distinguendo tra effettive responsabilità penali e opportunità politica.
Santanchè, i cui interessi (se non presenti, almeno recenti) nel settore dell’intrattenimento e nel turismo balneare sono noti a tutti, ha invece ritenuto giusto accettare l’incarico al Turismo.
Allo stesso modo, per riferire in Parlamento sulle circostanze raccontate da “Report”, ha aspettato che, di fatto, lo chiedesse la premier Giorgia Meloni sulla spinta delle opposizioni. Ma ieri, anziché spiegare i fatti veri o presunti («Non sono qui per rispondere a trasmissioni televisive»), ha dato l’impressione di voler soprattutto convincere i senatori di essere un’abile imprenditrice. Questione di opportunità, appunto.