«Ce ne fossero ancora di aristocratici e di grandi borghesi che scelgono di fare politica per difendere gli interessi popolari. Chi si stupisce per la sinistra che vince nel segno di Doria dimentica che all’origine del socialismo nell’800 c’é la borghesia». A parlare così è lo
spin doctor del neosindaco di Genova, Silvio Ferrari. Vecchio guru comunista, ma anche fine traduttore dei poeti croati; uno che la svolta della Bolognina non l’ha mandata giù e se ne è andato. Esattamente come i Doria, padre e figlio. Entrambi marchesi, entrambi rossi.Marco, consigliere comunale del Pci in gioventù e nuovo sindaco di Genova da ieri, è stato eletto con il 59,7% surclassando il terzopolista Enrico Musso. Portato in trionfo in Municipio da quel che resta del Ponente operaio e dai suoi comitati, che mescolano i professionisti della Genova-bene e gli studenti dei centri sociali, non ha mai sollevato lo sguardo verso le volte affrescate di quello che è anche un "palazzo di famiglia", donato da Andrea Doria a un antenato del neosindaco sul finire del Cinquecento. <+corsivo>Understatement<+tondo> di rigore per il professore di storia che ha atteso l’esito dello scrutinio in università, tenendo una lezione di due ore sul miracolo economico, e ha saputo di aver vinto, parole sue, da un passante che gli ha detto semplicemente: «È andata bene». Ora toccherà a lui, discendente dell’aristocrazia ghibellina, fare almeno due miracoli: varare una giunta-lampo senza finire nella rete dei partiti e approvare in tempi altrettanto ristretti il bilancio comunale.Il neosindaco non ha evitato il problema, incontrando i giornalisti: «La giunta verrà formata in tempi rapidi, entro la prossima settimana, sulla base di una mia autonoma scelta, ascoltando i cittadini e la coalizione, ma senza lottizzazioni, valorizzando le competenze e garantendo un’adeguata presenza femminile», ha detto. «Devi fare subito, altrimenti i partiti ti condizioneranno», gli aveva ripetuto pochi minuti prima Ferrari, che degli ex compagni della Bolognina conserva un nitido ricordo; gli è servito per sbaragliare la concorrenza alle primarie, dove lo scontro tra le due anime diessine del Pd è stato fatale sia al sindaco uscente Marta Vincenzi che all’onorevole Roberta Pinotti.In realtà, la candidatura di Doria, benedetta solo in un secondo tempo da Vendola, era stata decisa negli
scagni che contano, quelli degli armatori e dell’industria di Stato. È lo stesso Ferrari, consigliere d’amministrazione del Teatro Carlo Felice per volere della Vincenzi, a confermare che il candidato progressista ha iniziato a mietere consensi solo dopo aver fatto visita ai salotti dei Musso (niente a che vedere con il candidato concorrente) e dei Puri (ex partecipazioni statali). La vittoria di Doria sancisce il rinnovarsi della storica alleanza tra l’aristocrazia economica - e culturalmente "laica", vedasi l’apertura alle unioni di fatto - e le maestranze di questi due mondi, intorno a cui ruotano ancora università e servizi. Ancora, anche se faticosamente, a causa della crisi: non erano di maniera le preoccupazioni del neosindaco per l’astensionismo che ha dimezzato l’entusiasmo per la vittoria (annunciata). Doria ha perso circa 13mila voti tra un turno e l’altro (mentre Musso li ha quasi raddoppiati) e i pochi votanti, 39,4%, «non sono un dato positivo per la democrazia: la fiducia della maggioranza dei cittadini è in larga misura da costruire» ha riconosciuto.Questo dato ne indebolisce l’autonomia, che ha immediatamente rivendicato, parlando di decisioni «veloci» perché «non abbiamo tempo da perdere. Abbiamo il bilancio da approvare, dobbiamo prendere in mano le questioni finanziarie del Comune, verificare le entrate e le spese che dovranno essere garantite nel corso del 2012, fare un bilancio che sia adeguato alle necessità e non comprimere i servizi sociali che tutelano le fasce più deboli della popolazione». Nei prossimi giorni, vedrà i partiti che lo sostengono: il Pd, che rappresenta il 50% della maggioranza, chiederà il vicesindaco ma i comitati Doria (e forse lo stesso sindaco) vorrebbero che fosse espressione della società civile. Lui mette le mani avanti. Accenna a qualche personaggio eminente che potrebbe rispondere di no all’offerta di un assessorato, o che l’avrebbe già fatto, forse per indorare ai suoi la pillola della politica, che anche in tempi di antipolitica deve fare i conti con i numeri dei consiglieri di maggioranza. Il primo a fargli visita, ieri, è stato il governatore ligure Claudio Burlando. Ufficialmente hanno parlato solo di Finmeccanica.