giovedì 23 aprile 2009
Hanno tra i 14 e i 17 anni. Una vita in salita alle spalle L’Isfol li ha "fotografati". E ha indicato alcuni rimedi praticabili. Tra questi, la formazione professionale e l’apprendistato. Che però non decolla anche per la latitanza di molte Regioni.
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Invisibili ma numerosi. Un esercito di giovani italiani, tra i 14 e i 17 anni, ha smarrito la stra­da della scuola. Sono 150mila i ragazzi che, do­po aver intrapreso un percorso formativo, lo in­terrompono senza conseguire nessuna qualifica. Questo “pianeta dei dispersi” viene indagato nel­l’ultimo Rapporto di monitoraggio sul diritto-do­vere tra giovani dispersi e non censiti, prodotto dall’Isfol, l’Istituto per lo sviluppo della formazio­ne professionale dei lavoratori. Previsto dalla legge 53 del 2000, il diritto-dovere all’istruzione e formazione professionale per al­meno dodici anni (o comunque fino al consegui­mento di una qualifica entro il 18esimo anno di età) riguarda una popolazione di quasi 2 milioni e mez­zo di giovani tra i 14 e i 17 anni. L’88,7% è iscritto a scuola, il 4,4% (pari a 102mila ragazzi) frequenta altre agenzie formative, mentre l’1,7% è as­sunto in apprendistato. Infine il 5,2%, pari a 121mila persone, non partecipa ad alcun percor­so. Questi ultimi, sommati ai 41mila in apprendistato (istitu­to ancora scarsamente utilizza­to) formano l’esercito dei 150mi­la ragazzi 'dispersi', oggetto del­le attenzioni dell’Isfol. «Questi dati – commenta Emmanuele Crispolti, coordinatore del rapporto – ci dicono innanzitut­to che il sistema è instabile. La lotta alla disper­sione scolastica deve diventare una priorità na­zionale: ne va del futuro di decine di migliaia di gio­vani che vanno assolutamente recuperati a un per­corso scolastico e formativo, e del Paese stesso, che non può permettersi di lasciarli andare alla deri­va». Dietro il dato nazionale stanno cifre territoriali mol­to preoccupanti. Se, infatti, nel Nordest l’abban­dono della scuola riguarda “appena” l’1,7% dei 14­17enni e a Nordovest si arriva al 3,3%, al Centro il dato sale al 4,1% e raddoppia nel Mezzogiorno, dove raggiunge l’8% di media. A livello settoriale, secondo la rivista Tuttoscuola, sono gli istituti pro­fessionali a soffrire di più, con un tasso di disper­sione del 45,6%: praticamente un iscritto su due abbandona gli studi. «Per aggredire il problema – riprende Crispolti – le cose da fare sono essenzialmente due: garantire un’offerta formativa anche alternativa ai percorsi cosiddetti tradizionali della scuola superiore e po­tenziare la presenza degli operatori nei centri per l’impiego». Sul primo versante, si deve puntare sui percorsi integrati di formazione professionale, proposti sia dai Centri di formazione professionale sia dalle scuole. Attualmente, questi percorsi riguardano circa 130mila ragazzi e, essendo governati a livel­lo regionale, sono ritagliati su misura rispetto alla domanda di formazione espressa dai mercati del lavoro locali. «Per questo radicamento nel territo­rio – puntualizza Crispolti – la formazione profes­sionale diventa anche un’arma in più contro la cri­si, perché capace di formare proprio i lavoratori che il mercato richiede». Ancora tutta in salita, anche se già con qualche successo all’attivo, è la strada dei Centri per l’im­piego, l’80% dei quali svolge funzioni di orienta­mento e il 62% realizza azioni di tutoraggio: un ve­ro e proprio accompagnamento personalizzato per favorire il rientro dei dispersi nei circuiti for­mativi. Anche se L’Isfol registra una crescita degli operatori, passati da 157 del 2005 a 258 del 2007, non si può ancora dire che le forze in campo sia­no tali da poter aggredire alla ra­dice il fenomeno della disper­sione. Infatti, il dato 2007 ci dice che per ogni operatore ci sono 193 dispersi per le azioni di o­rientamento e addirittura 432 per quelle di tutoraggio. «Il numero degli operatori deve aumentare – ricorda Crispolti – anche se non tutto si può de­mandare ai Centri per l’impiego. Domandiamoci, per esempio, quanto orientamento si fa nelle scuole medie in­feriori, che pure sono chiamate ad accompagna­re i ragazzi nella scelta del percorso scolastico. In ogni caso, pur alla luce di queste difficoltà, si de­ve sottolineare la crescita del numero di azioni rea­lizzate dai Centri per l’impiego: nel 2007 i colloqui individuali di formazione sono stati più di 114mi-­la, quelli di orientamento oltre 71mila, mentre i giovani coinvolti in attività di tutoraggio più di 15mila». Un ulteriore punto critico riguarda il contratto di apprendistato, riformato dalla legge Biagi del 2003, ma, come ricorda l’Isfol, ancora molto “virtuale” per i ritardi di tante Regioni nel definirne la rego­lamentazione. In pratica, oggi un giovane può es­sere assunto con contratto di apprendistato sol­tanto grazie a una legge del 1955, poi aggiornata dal cosiddetto “pacchetto Treu” del 1997. «L’ap­prendistato – spiega ancora Crispolti – riguarda poco più di 41mila ragazzi tra i 15 e i 17 anni che, dal 2010, saranno ancora di meno, visto che tale contratto si potrà applicare soltanto ai 16-17enni. Il vero nodo riguarda la formazione esterna all’a­zienda, che viene garantita soltanto in rari casi, anche per la dispersione di questi ragazzi sul ter­ritorio. Ciò non toglie che anche l’apprendistato sia uno strumento importante per dare a questi gio­vani un’opportunità lavorativa in più».
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