Invisibili ma numerosi. Un esercito di giovani italiani, tra i 14 e i 17 anni, ha smarrito la strada della scuola. Sono 150mila i ragazzi che, dopo aver intrapreso un percorso formativo, lo interrompono senza conseguire nessuna qualifica. Questo “pianeta dei dispersi” viene indagato nell’ultimo Rapporto di monitoraggio sul diritto-dovere tra giovani dispersi e non censiti, prodotto dall’Isfol, l’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori. Previsto dalla legge 53 del 2000, il diritto-dovere all’istruzione e formazione professionale per almeno dodici anni (o comunque fino al conseguimento di una qualifica entro il 18esimo anno di età) riguarda una popolazione di quasi 2 milioni e mezzo di giovani tra i 14 e i 17 anni. L’88,7% è iscritto a scuola, il 4,4% (pari a 102mila ragazzi) frequenta altre agenzie formative, mentre l’1,7% è assunto in apprendistato. Infine il 5,2%, pari a 121mila persone, non partecipa ad alcun percorso. Questi ultimi, sommati ai 41mila in apprendistato (istituto ancora scarsamente utilizzato) formano l’esercito dei 150mila ragazzi 'dispersi', oggetto delle attenzioni dell’Isfol. «Questi dati – commenta Emmanuele Crispolti, coordinatore del rapporto – ci dicono innanzitutto che il sistema è instabile. La lotta alla dispersione scolastica deve diventare una priorità nazionale: ne va del futuro di decine di migliaia di giovani che vanno assolutamente recuperati a un percorso scolastico e formativo, e del Paese stesso, che non può permettersi di lasciarli andare alla deriva». Dietro il dato nazionale stanno cifre territoriali molto preoccupanti. Se, infatti, nel Nordest l’abbandono della scuola riguarda “appena” l’1,7% dei 1417enni e a Nordovest si arriva al 3,3%, al Centro il dato sale al 4,1% e raddoppia nel Mezzogiorno, dove raggiunge l’8% di media. A livello settoriale, secondo la rivista Tuttoscuola, sono gli istituti professionali a soffrire di più, con un tasso di dispersione del 45,6%: praticamente un iscritto su due abbandona gli studi. «Per aggredire il problema – riprende Crispolti – le cose da fare sono essenzialmente due: garantire un’offerta formativa anche alternativa ai percorsi cosiddetti tradizionali della scuola superiore e potenziare la presenza degli operatori nei centri per l’impiego». Sul primo versante, si deve puntare sui percorsi integrati di formazione professionale, proposti sia dai Centri di formazione professionale sia dalle scuole. Attualmente, questi percorsi riguardano circa 130mila ragazzi e, essendo governati a livello regionale, sono ritagliati su misura rispetto alla domanda di formazione espressa dai mercati del lavoro locali. «Per questo radicamento nel territorio – puntualizza Crispolti – la formazione professionale diventa anche un’arma in più contro la crisi, perché capace di formare proprio i lavoratori che il mercato richiede». Ancora tutta in salita, anche se già con qualche successo all’attivo, è la strada dei Centri per l’impiego, l’80% dei quali svolge funzioni di orientamento e il 62% realizza azioni di tutoraggio: un vero e proprio accompagnamento personalizzato per favorire il rientro dei dispersi nei circuiti formativi. Anche se L’Isfol registra una crescita degli operatori, passati da 157 del 2005 a 258 del 2007, non si può ancora dire che le forze in campo siano tali da poter aggredire alla radice il fenomeno della dispersione. Infatti, il dato 2007 ci dice che per ogni operatore ci sono 193 dispersi per le azioni di orientamento e addirittura 432 per quelle di tutoraggio. «Il numero degli operatori deve aumentare – ricorda Crispolti – anche se non tutto si può demandare ai Centri per l’impiego. Domandiamoci, per esempio, quanto orientamento si fa nelle scuole medie inferiori, che pure sono chiamate ad accompagnare i ragazzi nella scelta del percorso scolastico. In ogni caso, pur alla luce di queste difficoltà, si deve sottolineare la crescita del numero di azioni realizzate dai Centri per l’impiego: nel 2007 i colloqui individuali di formazione sono stati più di 114mi-la, quelli di orientamento oltre 71mila, mentre i giovani coinvolti in attività di tutoraggio più di 15mila». Un ulteriore punto critico riguarda il contratto di apprendistato, riformato dalla legge Biagi del 2003, ma, come ricorda l’Isfol, ancora molto “virtuale” per i ritardi di tante Regioni nel definirne la regolamentazione. In pratica, oggi un giovane può essere assunto con contratto di apprendistato soltanto grazie a una legge del 1955, poi aggiornata dal cosiddetto “pacchetto Treu” del 1997. «L’apprendistato – spiega ancora Crispolti – riguarda poco più di 41mila ragazzi tra i 15 e i 17 anni che, dal 2010, saranno ancora di meno, visto che tale contratto si potrà applicare soltanto ai 16-17enni. Il vero nodo riguarda la formazione esterna all’azienda, che viene garantita soltanto in rari casi, anche per la dispersione di questi ragazzi sul territorio. Ciò non toglie che anche l’apprendistato sia uno strumento importante per dare a questi giovani un’opportunità lavorativa in più».