domenica 3 dicembre 2023
Il nostro Paese è stato scelto per rappresentare i contenuti della Dichiarazione universale alla sede dell’Onu. Parla Letizia Moratti, presidente di Genesi, che ha selezionato le opere
La Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto

La Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto - Genesi

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L’arte contemporanea come linguaggio universale per rimettere al centro il discorso sui diritti umani. Su quanto, e in quanti modi, siano violati. Sulla necessità che le nuove generazioni diventino protagoniste di cambiamento fattivo della realtà. È l’obiettivo (ambizioso) che s’è posta a partire dal 2020 l’Associazione milanese Genesi, che da domani sarà protagonista presso il Palazzo delle Nazioni Unite di Ginevra della mostra allestita in occasione del 75° anniversario della Dichiarazione universale dei Diritti umani. Una scelta, quella del nostro Paese tra gli altri candidati, che è un’occasione e un privilegio insieme: saranno infatti 16 opere di artisti italiani – tra cui la Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto, tre esemplari dell’Enciclopedia Treccani di Emilio Isgrò e Atleti di Ercolano di Mimmo Jodice – a rappresentare ai grandi del mondo che si riuniranno nella sede dell’Onu nei prossimi giorni gli articoli chiave del documento, dal diritto alla salute a quello all’istruzione, dalla sostenibilità ambientale alla tutela del patrimonio artistico. Ma sui diritti, e in particolare quelli delle donne, Genesi è impegnata anche in un progetto che sta toccando diverse città italiane «e che ha come obiettivo principale l’educazione » spiega la presidente dell’associazione Letizia Moratti. Di questi tempi più che mai necessaria.

Di cosa si tratta?

Progetto Genesi è un’iniziativa itinerante basata sulla sincronia tra un momento espositivo e uno formativo. Il primo consiste in una mostra, curata da Ilaria Bernardi, che nelle sue due edizioni ha toccato diverse città italiane: da Varese ad Agrigento, da Assisi a Matera, da Milano e Genova fino a Brescia, dove si trova attualmente e fino al 28 gennaio. Il secondo, e forse il più importante, è proprio il momento educativo: contestualmente alla visione della mostra vengono organizzati workshop, conversazioni e laboratori con gli studenti e i ragazzi, in collaborazione tra gli altri con l’Università Cattolica e il Fai, all’interno dei quali si raccolgono e si propongono a partire dai temi rappresentati nelle opere d’arte riflessioni più ampie in ambito giuridico, sociale, filosofico. Proprio questo coinvolgimento dei ragazzi su un piano fattivo sta determinando il successo straordinario dell’iniziativa: in 8 mesi abbiamo registrato la cifra importante di 40mila visitatori e organizzato oltre 2mila incontri.

Come sono state scelte le opere?

La collezione Genesi è costituita da opere d’arte contemporanea di artisti di tutto il mondo che riflettono sulle urgenti, complesse e spesso drammatiche questioni culturali, ambientali, sociali e politiche che ci interpellano. Sono state scelte con lo sforzo di tenere insieme lo sguardo non solo di diverse culture, ma anche di generazioni differenti: include infatti artisti sia storicizzati e affermati, avendo esposto in importanti musei e rassegne internazionali, sia artisti giovani e ancora poco conosciuti in Europa, provenienti dai Paesi con maggiori problematiche, nell’attualità o nella loro storia passata, legate ai diritti umani. A Brescia in particolare la mostra, intitolata Finché non saremo libere, include 15 nuove acquisizioni e si concentra sul tema drammaticamente attuale della condizione femminile nel mondo, con un particolare focus sull’Iran. Sono infatti esposte anche le opere di due artiste iraniane: Soudeh Davoud e Shirin Neshat.

La mostra si ispira, declinandolo al femminile, al titolo di un libro di Shirin Ebadi, avvocata e attivista per i diritti umani, prima donna musulmana a ricevere il Premio Nobel per la pace nel 2003. La scelta di queste artiste e di illuminare la situazione dell’Iran in questo momento non è casuale...

Non lo è. Si tratta di donne con storie di coraggio alle proprie spalle, impegnate attraverso l’arte a rivendicare i diritti che in quel Paese – come in molti altri purtroppo – sono calpestati. Dare spazio alle loro opere significa dare voce alla loro rivoluzione e farla nostra. E quella per i diritti delle donne è anche una battaglia degli uomini: non è un caso se la mostra di Brescia, come tutte le altre di Genesi, è aperta dall’installazione dell’iraniano Morteza Ahmadvand, in cui tre video che proiettano i simboli delle tre religioni cristiana, islamica ed ebraica si trasformano lentamente in una sfera (che rappresenta il nostro pianeta), superando le loro differenze. Si tratta di un inno al rispetto della diversità, al dialogo, alla convivenza tra i popoli. Anche alla pace.

I diritti calpestati delle donne iraniane come delle afghane, a cui come giornale abbiamo dedicato una campagna nei mesi scorsi. Ma anche l’istruzione, la salute, la libertà d’espressione, che in tanti Paesi sono un miraggio: perché questi drammi continuano a sembrarci lontani, lasciandoci spesso indifferenti?

Il tema dei diritti negli ultimi anni è stato oscurato dalle emergenze: il Covid prima, poi la guerra in Europa e ora anche in Medio Oriente. Ma in generale manca consapevolezza, soprattutto culturale. Ed è il motivo, in parte mi ripeto, per cui con Genesi insistiamo così tanto sulla necessità di momenti formativi che accompagnino la fruizione delle opere d’arte. L’arte in sé, poi, è un messaggio universale, immediato, capace di offrire immediatamente quella consapevolezza a chiunque.

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