L'accordo è fatto. Il vertice tra Di Maio e Salvini ha prodotto una fumata bianca. Il premier sarà Giuseppe Conte. Lo hanno detto i due leader al termine di un lungo vertice.
Intanto Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d'Italia ha confermato che il suo partito aiuterà il nuovo governo a nascere, anche se "manteniamo le nostre perplessità". Ma è "sempre meglio di un governo tecnico o del voto il 29 luglio".
La giornata di giovedì
«Vedremo nelle prossime ore, valuteremo, ne parlerò con Luigi Di Maio...». Dopo una nottata di riflessione il leader della Lega Matteo Salvini decide di cancellare la girandola di impegni in Lombardia previsti per le amministrative e torna nella Capitale per dare una risposta all'invito esplicito formulato ieri in diretta Facebook dal capo politico del Movimento 5 stelle: «Troviamo una persona della stessa caratura dell’eccellente professor Savona» per il Tesoro, e «lui resta nella squadra di governo in un’altra posizione. M5s e Lega non hanno mai ideato l’ipotesi di un’uscita dall’euro».
Nel pomeriggio alla Camera Salvini si è riunito con Di Maio, che si sono dati ancora un po' di tempo, fissando come traguardo la giornata di venerdì.
Anche Giorgia Meloni, presidente nazionale di Fratelli d'Italia, annulla i propri impegni di giornata, a conferma implicita della disponibilità offerta martedì a dare sostegno ad un eventuale governo Lega-M5s.
La giornata di mercoledì
Ieri sera e il segretario della Lega stava per tenere a Imperia l’ultimo comizio per le amministrative di una lunga giornata iniziata al mattino a Pisa. Appena finito si è messo al telefono: prima del confronto decisivo con Di Maio, consultando i fedelissimi del Carroccio. Si è confrontato con Giancarlo Giorgetti, capogruppo alla Camera e suo braccio destro, con altri esponenti del partito, forse anche col professor Savona, il cui "passo di lato" potrebbe levare le castagne dal fuoco a tutti.
È l’ultima carta da giocare nella mediazione col Colle, che prima di nominare l’esecutivo Cottarelli concede un’altra manciata di ore ai due leader per mettersi d’accordo. Nel tardo pomeriggio, Di Maio è salito al Quirinale per un colloquio informale col presidente Sergio Mattarella. Come nei giorni scorsi, le voci si rincorrono. C’è chi assicura che sul Colle sia salito pure il capogruppo leghista Giorgetti, ma il Carroccio smentisce. A scoprire il gioco è la parlamentare pentastellata Laura Castelli, lanciando un segnale di fumo: «Stupisce che Paolo Savona, persona di grande spessore culturale e sensibilità politica, non abbia ancora maturato la decisione di fare un passo indietro».
A quel punto, le intenzioni di M5s sono chiare: evitare in extremis il governo "tecnico" e far ritornare in scena l’esecutivo politico gialloverde. Lo esplicita, su Facebook, lo stesso Di Maio, pur nella consapevolezza che «non dipende da noi, il M5s ci sta, dipende dall’altra forza politica che fa parte del contratto. Se ci sta chiederemo di richiamare Conte al Quirinale per l’incarico, è una grande occasione».
Sul piatto della trattativa di governo atterra così la madre di tutte le offerte. Salvini, fra un comizio e l’altro, inizia a valutarla, senza però sbilanciarsi. In fondo, è il leit motiv della sua strategia in questi tre mesi: attendere a fondo campo e giocare di rimessa, rilanciando la palla nel campo avversario. Lo ha fatto anche ieri: prima, in mattinata da Pisa, chiedendo soccorso al Colle («Mattarella ci dica come uscire dallo stallo»). Poi, in serata, rimandando la decisione al confronto col capo del Movimento. «Quando abbiamo proposto il professor Savona, è stato perché era il migliore per fare il ministro dell’Economia. Se Di Maio ha cambiato posizione, ne parlerò con lui».
L’impressione è che, nel passo a due con Di Maio (che deve dimostrare di non esser stato messo nel sacco dalla Lega) pure Salvini ci tenga a non mollare: «Se do la parola a una persona, difficilmente la cambio: i ministri nel governo non sono come i calciatori nel calciomercato, se uno gioca come portiere deve fare il portiere, se gioca come attaccante deve fare l’attaccante...», argomenta. Poi manda l’ennesima frecciata a Berlino: «Mi domando perché non possa fare il ministro in Italia uno che non sta simpatico ai tedeschi. Ma dobbiamo avere il permesso della Merkel? Un governo col guinzaglio no».
Mentre il segretario arringa gli elettori in Liguria, nei Palazzi qualche collega di partito dà segni di tensione. Ai cronisti che in Senato lo incalzano sul caso Savona, il capogruppo Gian Marco Centinaio ribatte: «Chiedete a Salvini». E Roberto Calderoli, al suo fianco, aggiunge: «Che è in giro a far comizi...».
Nel frattempo, Giorgetti consulta gli sherpa pentastellati e lavora a una soluzione. Prende corpo l’ipotesi di uno spacchettamento del ministero dell’Economia: al Tesoro andrebbe una figura vicina alla Lega, ma più "rassicurante" per l’Europa, mentre le Finanze resterebbero a Savona. Secondo altre fonti, oltre allo sdoppiamento, il Mef potrebbe essere "alleggerito" di alcune deleghe, da affidare a un sottosegretario della Presidenza del Consiglio dei ministri, forse lo stesso Giorgetti.
È la via d’uscita? Qualcuno ci scommette, adducendo come conferma un labiale carpito ieri a Salvini a margine di un comizio («Se va bene a Di Maio, va bene anche a me»). Altre fonti sostengono il contrario: alla fine il segretario potrebbe respingere l’offerta di Di Maio, nella convinzione che (sondaggi alla mano) lasciare campo per poco tempo all’esecutivo tecnico di Cottarelli e andare presto alle urne («Ma non il 29 luglio, c’è gente che lavora»), possa essere più proficuo: «Quello che non ci hanno fatto fare ora, lo faremo tra due o tre mesi a furor di popolo».
A tarda sera, Salvini riflette ancora, ma non scioglie il nodo: «Parleremo dello spostamento con Savona, l’educazione lo vuole – fa sapere da Genova –. La porta non l’ho mai chiusa». Sia come sia, al Quirinale attendono una risposta entro oggi.