L’occasione giusta, la cifra (quasi) esatta, il momento opportuno. La disponibilità da 1,6 miliardi di euro emersa nel Documento di economia e finanza approvato venerdì sera ricorrendo a un maggior deficit potrebbe rappresentare una svolta per dare finalmente una risposta concreta e di una certa consistenza ai poveri. Almeno ai più poveri tra i poveri. A chiederlo è l’Alleanza contro la povertà, il cartello di associazioni, sindacati ed enti territoriali promosso da Caritas e Acli, che hanno scritto al Governo perché faccia partire il Reddito di inclusione sociale, a cominciare da chi sta peggio. «Una misura non solo di politica sociale, ma di politica economica – spiega Gianni Bottalico, presidente Acli – perché se a chi si trova in povertà assoluta, venisse data la possibilità di usufruire di un intervento di sostegno al reddito, insieme a un’adeguata politica dei servizi (lavoro, istruzione, salute, integrazione, ecc.), questa fascia di popolazione potrebbe dare un consistente contributo alla ripresa della domanda interna». Quegli 1,6 miliardi, infatti, corrispondono quasi esattamente agli 1,7 miliardi stimati come necessari per dare avvio al primo stadio di attuazione del Reis da completare in 4 anni, con una spesa a regime di 7 miliardi di euro. Nel primo anno sarebbero raggiunte dalle misure di aiuto e inclusione quasi un terzo delle famiglie in condizione di povertà assoluta, circa 600mila su oltre 2 milioni. A questi nuclei potrebbe essere destinato un aiuto variabile in base ad alcuni fattori come il numero dei componenti e la città di residenza, da un minimo di 320 euro per il singolo a un massimo di 450 per una famiglia di quattro componenti. Insieme al contributo economico verrebbero garantiti anche servizi rivolti alla persona per il collocamento al lavoro o programmi sanitari o di inserimento sociale svolti in collaborazione dai Comuni, gli enti pubblici (Asl, Centri per l’impiego) in stretto collegamento con le associazioni del terzo settore. Si tratterebbe di un intervento meglio mirato rispetto alla distribuzione anche agli incapienti del bonus fiscale da 80 euro dal quale sono attualmente esclusi. Dall’Alleanza contro la povertà sottolineano come investire quelle risorse 'aggiuntive' sul reddito d’inclusione avrebbe infatti almeno tre vantaggi rispetto all’estensione degli 80 euro. Il primo è quello di essere maggiormente efficace nel contrasto contro la povertà, visto che verrebbe concentrato su quella parte di popolazione che è sicuramente in condizioni di assoluta miseria, mentre non tutti gli incapienti sono poveri assoluti o addirittura relativi. Il secondo riguarda la possibilità di coinvolgere nell’intervento gli enti pubblici locali e il terzo settore perché per combattere la povertà non basta dare un bonus o un assegno, ma occorrono efficaci interventi di inclusione. Il terzo e decisivo argomento riguarda il carattere di riforma strutturale che l’avvio del Reis avrebbe. Si tratterebbe infatti appunto del primo stadio di un più complessivo intervento teso a raggiungere e aiutare quel 10% della popolazione italiana che vive al di sotto di standard accettabili. Anche perché nel frattempo stenta ancora a partire l’estensione della nuova Social card alle Regioni del Mezzogiorno che doveva essere avviata all’inizio dell’anno. Si tratta di una misura destinata a garantire, oltre ad alcuni servizi di accompagnamento, fino a 400 euro al mese alle famiglie con disoccupati, un primo abbozzo di quel Sia (Sostegno d’inclusione attiva) messo a punto dal ministro Enrico Giovannini durante il governo Letta, simile per filosofia al Reis. La nuova Social card è stata sperimentata lo scorso anno in 12 grandi città (Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Venezia e Verona), con risultati positivi ma evidenziando anche notevoli problemi, in particolare per i requisiti severi, le procedure farraginose e le molte dichiarazioni mendaci. Con l’ultima legge di stabilità è stato dato il via libera all’estensione della misura a 8 Regioni del Sud: Sardegna, Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia, Abruzzo, Molise e Campania. Potenzialmente, infine, l’estensione è a tutto il Paese, ma – almeno finora – a mancare erano da un lato i finanziamenti, dall’altro le nuove modalità operative. Il tentativo del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, infatti, era quello di passare dalla modalità del bando (coi tempi lunghi che comporta) a un’erogazione 'immediata' a sportello. La difficoltà maggiore, però, è rappresentata dai fondi stanziati: 167 milioni di euro per le 8 Regioni e 40 milioni per ogni anno dal 2014 al 2016 per gli altri territori, più i fondi del Pon inclusione. Troppo poco per un’estensione significativa. A meno che, appunto, non si aggiungano ulteriori risorse. Il governo non ha ancora scoperto le carte sulla destinazione degli 1,6 miliardi, ma l’ipotesi di dar vita a un reddito di inserimento è concreta dopo un incontro, definito «molto positivo», che si è tenuto il 17 marzo tra i rappresentanti dell’Alleanza contro la povertà e l’allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio. Per i poveri assoluti potrebbe essere #lavoltabuona.