martedì 16 ottobre 2012
Il leader non ci sta a farsi "rottamare" da Renzi e si appella al partito. Ma la scelta di Veltroni di uscire di scena provoca un effetto valanga.
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Ha conquistato tutta la scena, Walter Veltroni: il ruolo del "buono" nella storia è senz’altro suo. Ma Massimo D’Alema – almeno questa volta - non vuole essere il "cattivo". E nell’eterna partita dei due rivali ex Pci, Pds, Ds, il presidente del Copasir resta spiazzato dalla decisione del primo segretario democratico di lasciare il Parlamento e si rimette alla volontà del partito. Veltroni apre una falla lì dove Matteo Renzi aveva creato un buco. E suona quasi ironica l’affermazione dell’ex sindaco di Roma per cui la sua scelta «non necessariamente implica che altri debbano fare la stessa cosa, perché questo è il mio progetto di vita e si accompagna al fatto che la politica si possa fare anche in altri modi e in altri luoghi». Il romanziere Veltroni usa toni alti, mentre a Montecitorio e Palazzo Madama si scatena una preoccupatissima conta. Già, perché lo Statuto del Pd prevede un massimo di tre mandati e una deroga che non va oltre il 10 per cento dei casi. Ma l’interpretazione non è univoca, e i tre mandati possono essere letti come quindici anni pieni, così come tre legislature (a prescindere dalla loro durata). In ogni caso, sono più di trenta i parlamentari di largo del Nazareno che dall’87 – quindi prima della caduta del Muro di Berlino – hanno avuto uno scranno in una delle due Camere. Matteo Renzi li ha definiti «dinosauri», e proprio il sindaco rottamatore non smette di chiamare in causa il suo obiettivo numero uno: D’Alema, appunto.«Io non mi sono mai candidato perché le candidature le fa il Partito democratico», replica piccato l’ex premier ds, pronto a restare «se il partito mi chiede di farlo». Ma il presidente di Italianieuropei continua a rifiutare il teorema renziano, che per la verità ha urtato diverse sensibilità. Tanto che da Livia Turco (7 legislature all’attivo) a Giovanna Melandri (5 "giri" alle spalle) non vogliono darla vinta al sindaco di Firenze. E pure se intenzionate a lasciare, sembrano resistere. «L’idea che ci sia un gruppo di oligarchi che si devono togliere di mezzo è una evidente distorsione e denota l’abilità dei nostri competitori a mettere al centro l’eliminazione della classe dirigente del Pd», è l’interpretazione di D’Alema. «Sono impegnato a mettere un’argine a questa ondata e posso andarmene tranquillo – continua. Avevo detto a Bersani che non volevo candidarmi ma ora difendo la dignità di una storia», dice, dopo aver incassato il documento di sostegno siglato da circa 500 tra rettori, sindaci e intellettuali.Di fatto, comunque, Veltroni ha dato il via a una nuova fase. Qualcuno lo aveva preceduto, come Arturo Parisi e Pierluigi Castagnetti. «Sono sicuro che non sarà l’unico a fare questo passo», dice soddisfatto Matteo Renzi, in attesa di vedere la lista più lunga. Ma proprio questa ostentata certezza innervosisce diversi animi. Rosy Bindi, dal ’94 in Parlamento, non ci sta a farsi rottamare. Come lei Anna Finocchiaro, in pista dall’87, o Dario Franceschini, al terzo mandato, ma con 11 anni alle spalle, per una legislatura chiusa prematuramente.
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