«Q uando abbiamo iniziato quest’avventura ci hanno detto che eravamo dei Don Chisciotte. E invece abbiamo vinto questa battaglia ». C’è soddisfazione nella voce di Marco Griffini, presidente di AiBi-Amici dei bambini. Lo scorso 30 luglio infatti l’associazione è stata autorizzata ad aprire alle coppie italiane le adozioni internazionali con gli Stati Uniti. Un lavoro paziente, iniziato tre anni fa con l’apertura di un ufficio di AiBi a New York, e che si va a inserire all’interno di una situazione drammatica. In quella che è la nazione più ricca del pianeta infatti sono circa 513mila i minori costretti a vivere sotto la protezione statale, ospiti di una famiglia affidataria che riceve un assegno mensile dallo Stato per il mantenimento del minore. Di questi 513mila, ben 114mila bambini e adolescenti sono stati dichiarati in stato di abbandono e sono quindi adottabili. Ecco quindi il secondo paradosso di tutta questa vicenda: nel Paese che, in assoluto, adotta il maggior numero di minori all’estero, vivono decine di migliaia di bambini e adolescenti che nessuno vuole. Il sistema di protezione dei minori negli Stati Uniti si basa su un’ampia rete di famiglie affidatarie ( Foster care family) che hanno il compito di accudire i bambini che sono stati allontanati dalla famiglia d’origine. Niente istituti quindi, ma il sistema presenta comunque alcuni aspetti critici. Innanzitutto per il fatto che i tribunali impiegano molto tempo a stabilire l’adottabilità del minore che, con il passare degli anni, perde progressivamente le possibilità di trovare una famiglia che lo adotti. Le aspiranti famiglie adottive americane infatti tendono a preferire i bambini molto piccoli, a discapito di quelli più grandicelli. Altro aspetto problematico, e che influisce pesantemente sulla crescita dei piccoli, è il fatto che la legge prevede spostamenti periodici (ogni sei mesi) da una famiglia all’altra, per evitare che si creino legami affettivi troppo solidi. Bambini e ragazzi che nessuna famiglia americana sembra voler prendere con sé. Troppo grandi per essere adottati, con problemi di salute o che presentano disturbi comportamentali a causa dei lunghi trascorsi dell’abbandono. Oppure appartenenti a gruppi etnici di minoranza: dagli afro- americani agli ispanici. AiBi è convinta che, per questi 500mila bambini l’adozione internazionale possa rappresentare una vera e propria ancora di salvezza. L’obiettivo dell’associazione quindi è quello di dare a questi minori una possibilità in più per essere figli. Oltre all’adozione dei bambini che vivono sotto la protezione di Foster care family, AiBi vuole incentivare l’adozione di quei bambini che, dopo essere stati accolti da una coppia adottiva, hanno dovuto subire una seconda volta il trauma dell’abbandono. Si tratta di casi molto delicati, processi di accoglienza difficili poiché coinvolgono minori che, dopo aver vissuto il dramma dell’abbandono da parte dei genitori biologici, si trovano ancora una volta nella condizione di essere rifiutati. Per colpa, probabilmente, della scarsa preparazione delle aspiranti coppie adottive. Altro fronte su cui AiBi vuole lavorare è quello dell’adozione come forma di prevenzione dell’aborto. Negli States infatti esistono diverse organizzazioni impegnate nell’assistenza alle madri in difficoltà che scelgono di dare in adozione il proprio bambino anziché alimentare la strage silenzionsa degli aborti. La maggior parte dei bambini che fanno parte del US foster care system si trovano presso le 153mila famiglie affidatarie temporanee per negligenza o abusi da parte dei genitori. Mentre il 24% dei minori del Foster care sono stati posti in affido presso i propri parenti. L’età media dei piccoli che vivono sotto protezione statale si aggira sui dieci anni: la “fetta” più consistente (il 28%) ha un’età che oscilla tra gli 11 e i 15 anni mentre il 20% ha un età compresa tra i sei e i dieci anni. In percentuale, i bambini di origine afro-americana rappresentano il 32% del totale e gli ispanici il 18%. I bambini bianchi invece rappresentano il 41% del totale. Quasi equamente divisi tra maschi (52%) e femmine (48%), in media trascorrono nel sistema poco più di due anni della loro vita (28,6 mesi per la precisione). Un periodo di affidamento temporaneo che in oltre la metà dei casi (il 54% per la precisione) si conclude con il ritorno presso la propria famiglia d’origine. Ogni anno, circa 20mila giovani escono dal sistema di protezione minorile americano. Molti compiono questo passo a 18 anni, pur avendo ancora bisogno di supporto e, come hanno dimostrato diversi studi, si tratta di giovani molto vulnerabili. Giovani che sono stati accuditi, vestiti, nutriti e istruiti, ma che, continuamente sballottati da una famiglia all’altra, non sono mai stati realmente amati.