La definisce «una sentenza orientata ideologicamente». Che, disconoscendone il valore culturale, nega il fatto evidente che il crocifisso sia un «segno» per credenti e non credenti. E, rimuovendo una presenza «che non impone nulla ma si espone soltanto», finisce con «impoverire ulteriormente» un mondo «già così disorientato». Ad Avvenire e a Tg2000 il cardinale presidente della Conferenza episcopale Italiana, Angelo Bagnasco, non nasconde che «la decisione della Corte di Strasburgo ha provocato in me stupore e sconcerto». La sentenza, ha infatti spiegato ieri, «appare come orientata ideologicamente», una decisione «che non si cura di rispettare la verità delle cose». «Non tiene in alcun conto, ad esempio – ha sottolineato – della verità storica dell’Europa e dell’Italia. Anche a un occhio distratto, l’Europa e l’Italia da un semplice un punto di vista culturale, traggono la loro ispirazione dal Vangelo. Basta guardarsi intorno per capire che senza il cristianesimo e la Chiesa non si comprenderebbe la 'Divina Commedia', ma anche la maggior parte dell’architettura e dell’arte». «Riconoscere il valore culturale del crocifisso, peraltro, non vuol dire – ha aggiunto il porporato – svilirne il significato religioso perché la fede con i suoi segni genera civiltà e cultura che diventano patrimonio a disposizione di tutti, come dimostra la ricchezza della nostra storia nazionale e continentale. Il segno del crocifisso poi parla a tutti, sia ai credenti per i quali è certamente il segno della propria fede, sia ai non credenti, per i quali la croce rappresenta comunque il segno di quella esperienza umana integrale che ha la propria radice nel sacrificio di Gesù Cristo». D’altra parte, ha proseguito il presidente della Cei, «non ricordo di aver mai sentito qualcuno sentirsi offeso da questo segno, anzi spesso ho percepito che molti, anche tra i non credenti, proprio guardando all’uomo della croce, traggono ispirazione e fiducia per andare avanti. Perché – ha concluso – impoverire ulteriormente il nostro mondo già così disorientato? Perché privarsi di questo segno che non impone nulla ma si espone soltanto?». Di «offesa al simbolo della religione della stragrande maggioranza degli europei: cattolici, ortodossi, luterani, anglicani, calvinisti» ha parlato il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i vescovi, che alla Radio vaticana ha osservato come «i veri difensori della laicità dovrebbero difendere il crocifisso». Del resto «il riferimento al crocifisso - ha detto alla stessa emittente monsignor Aldo Giordano, inviato speciale e osservatore permanente della Santa Sede al Consiglio d’Europa - non è un rischio per i diritti dei singoli, ma è un contributo significativo anche nella sfera pubblica per difendere, per promuovere, per fondare i diritti dei singoli, i diritti della persona». Secondo monsignor Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste, la sentenza è «profondamente sbagliata» perché «l’estromissione dei simboli religiosi dagli ambienti pubblici è esso stesso un atto che esprime assolutezza e integralismo». Gli ha fatto eco monsignor Elio Tinti, vescovo di Carpi: «L’Europa c’è perché da duemila anni il Vangelo si è innestato nella storia dei popoli europei» e «non capisco perché ci ostiniamo a indebolire la nostra identità». Non è del resto un caso, per l’arcivescovo di Perugia monsignor Gualtiero Bassetti, se «il crocifisso è un valore per tutti, è un valore della nostra civiltà che ha queste radici». «Il crocefisso è simbolo d’amore per credenti e non, e non chiede rinunce, non impone condanne o pregiudizio verso altre religioni, culture e filosofie», sottolinea monsignor Giuseppe Merisi vescovo di Lodi fino a pochi mesi fa rappresentante dei vescovi italiani alla Comece. È un segno, evidenzia il vescovo di Cremona monsignor Dante Lanfranconi, «che non ha mai fatto danno ad alcuno». Ancor più per questo, secondo monsignor Luigi Negri, vescovo di San Marino e Montefeltro, «credo sia giusto dire che si tratti di una volontà eversiva... condotta con ferocia».