Giuseppe Conte - Reuters
Intorno alla Sala della Lupa ciò che regna è la confusione. La confusione e la consapevolezza che il vero tavolo è altrove, corre sulle linee telefoniche dei leader. Una confusione alimentata anche da una produzione seriale di veline che strappa più volte il sorriso di chi sta chiuso dentro a registrare «vicinanze» e «distanze» su singoli punti programmatici. E così mentre Iv fa sapere che M5s pone «veti» e vuole lo «spacchettamento dei ministeri», i 5s rispondono mettendo sotto la porta della sala stampa un bigliettino (metaforico) secondo cui Renzi avrebbe chiesto 4 ministeri. Guerre di posizionamento che però restituiscono il sostanziale stallo del tavolo, mentre i referenti del Pd si aggirano nei corridoi di Montecitorio come peripatetici e si chiedono se davvero «gli altri due», ovvero renziani e pentastellati, vogliano chiudere la trattativa.
«Noi siamo pronti al Conte-ter, però loro dicono solo "no" su Mes e giustizia», annunciano solenni i fedelissimi di Renzi conclusi i lavori serali. Che è come tornare alla casella di partenza. Bisogna scrostare, e molto, per capire la verità. La verità è che Matteo Renzi deciderà solo oggi se dire sì o no al terzo esecutivo dell’avvocato pugliese. E non lo deciderà in base al Mes, a Bonafede o alla formula del documento scritto o informale. Lo deciderà guardando negli occhi il suo gruppo parlamentare al Senato: se i senatori di Iv resteranno persuasi che non c’è il rischio di votare, e che quindi si può ancora tirare la corda, autorizzeranno l’ex premier a troncare la trattativa a modo suo, ovvero denunciando tutti i «no» e i «veti» del Movimento. Se invece Renzi capirà nitidamente che i suoi senatori non reggono più, che di fronte ad un altro strappo potrebbero - in parte - andare ad ingrossare le fila di una maggioranza alternativa, pronuncerà le sospirate parole: «E Conte-ter sia». In tal caso, per il senatore di Rignano sarebbe poco più di una tregua, con il calendario ritarato a inizio luglio, quando inizierà il semestre bianco e, cancellata la finestra elettorale, si potrà riprovare la carta del governo istituzionale.
Eppure a folate qualche ipotesi di accordo viene fuori. L’ipotesi più fondata è che M5s si tenga il simulacro del Mes e ceda sulla giustizia. Al contempo, però, la riscrittura del Recovery prevederebbe un considerevole aumento dei soldi per la Sanità. Sulle riforme, c’è da mettere nero su bianco un numerino, ovvero la soglia minima di accesso al Parlamento all’interno di una legge proporzionale - battaglia che accomuna Iv e Leu -. Insomma gli scogli programmatici non sono così insuperabili. Lo restano, insuperabili, finché i protagonisti non fanno chiarezza.
Il dubbio che insinua il Pd in serata è che nemmeno Conte abbia fatto chiarezza. La parte finale del tavolo ha visto i 5s cambiare repentinamente toni, come se avessero avuto l’input di non cedere oltre a Iv. Input di Di Maio? No, è la risposta dem, piuttosto di Palazzo Chigi. Forse Conte è l’unico leader che continua a valutare le urne a giugno, preferibili ad un "ter" che vede Renzi con un rafforzato potere di "ricatto". Altra ipotesi sussurrata nei corridoi è che Conte voglia o possa "causare" una lite con Iv per far aumentare il rischio di voto anticipato e quindi far decollare ai tempi supplementari l’operazione-responsabili.
Giochi che, se fossero veri, renderebbero improbabile una proroga del mandato esplorativo di Fico, plausibile solo se mancasse un metro al traguardo dell’intesa. E quindi oggi - dopo 24 ore più in negativo che in positivo - è il giorno del «si» o del «no» da parte di tutti a un Conte-ter politico che vedrebbe solo ministri scelti dalle prime file dei partiti.
Nomi come Mario Draghi, o Marta Cartabia, sono "riserve" da tirare fuori se l’esplorazione di Fico restasse vittima della partita a scacchi permanente tra Renzi e Conte. Sono profili che appartengono al catalogo "proposta del presidente" cui è difficile dire «no». E allora quasi quasi, tra mille dubbi, ne affiora un altro ancora: che tutti - Renzi, Zingaretti, Di Maio - giochino ad irrigidirsi per arrivare proprio a quel punto lì, ma senza prendersene la responsabilità. E questo è un tarlo notturno nella testa di Giuseppe Conte. Un dubbio che non si scioglierà prima di oggi pomeriggio.