Il premier Mario Draghi e il ministro Giancarlo Giorgetti al Senato - Fotogramma
«È chiaro che un voto in difformità dal governo in Parlamento avrebbe un significato chiaro e conseguenze inevitabili, gravi...». A raccogliere queste parole di Mario Draghi sono due ministri: il titolare del Mise Giancarlo Giorgetti, il "moderato" della Lega, e il responsabile dei Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà, pentastellato con il compito di trovare l’equilibrio di maggioranza sugli ordini del giorno riguardanti l’allentamento o superamento del coprifuoco. All’aut aut il premier aggiunge anche la via d’uscita: «Se dobbiamo ribadire che a maggio rivaluteremo le misure, compreso il coprifuoco, nulla osta, è quanto abbiamo già stabilito in cabina di regia».
I due colloqui avvengono in un momento di grande tensione del lungo pomeriggio al Senato. Matteo Salvini passa di intervista in intervista a rilanciare la sua raccolta di firme contro il coprifuoco. E a Montecitorio due ordini del giorno di Fratelli d’Italia sono lì a sfidarlo: «Vediamo chi fa sul serio», è il messaggio che gli manda l’alleata-avversaria Giorgia Meloni. Il rischio di entrare in stallo è forte.
Per ben due volte il governo chiede di sospendere i lavori dell’aula di Montecitorio. Ma è a Palazzo Madama che cade la scena chiave: Giorgetti e Salvini, uno di fronte all’altro, con le mascherine abbassate, che alzano i decibel più del solito. Il ministro a dire che la corda non si può tirare a oltranza, il capo della Lega a ribadire che questa per lui non è tattica, ma un modo di dare risposte ai cittadini.
Entrambi sul telefonino hanno l’ultima mediazione firmata D’Incà, una riformulazione sufficientemente generica dell’ordine del giorno del deputato totiano Silli. Il testo dice: «Valutare nel mese di maggio, sulla base dell’andamento del quadro epidemiologico oltre che dell’avanzamento della campagna vaccinale, l’aggiornamento delle decisioni prese» con l’ultimo decreto legge Covid sulle aperture, «anche rivedendo i limiti temporali di lavoro e spostamento», ovvero l’orario del coprifuoco.
Per Draghi va bene. Per Pd e 5s anche. E pure per Renzi, che in mattinata, nella sua e-news, si era detto favorevole ad un dilatamento del coprifuoco, anche per non lasciare a Salvini il campo "aperturista". Alla fine, quando trova il modo di "venderlo" come una vittoria, anche la Lega dà il placet. E con il via libera del primo firmatario Silli alla proposta dell’esecutivo, l’Odg viene automaticamente approvato.
«Non era scontato, abbiamo fermato chi pensava di tenere il coprifuoco a giugno, a luglio...», dice Salvini per scansare l’accusa di Meloni di essersi piegato all’ultimo miglio. In realtà l’ordine del giorno riprende la linea di Draghi, e rafforza l’ipotesi di un allentamento del coprifuoco dalle 22 alle 23 a metà maggio, e di tagliandi in successione in base all’andamento di vaccini ed epidemia.
La quadra trovata dalla maggioranza non chiude però la faccenda. Perché Fdi non ritira i suoi ordini del giorno contro il coprifuoco. Fatto che costringe Lega e Fi, il "centrodestra di governo", a chiudersi in conclave per decidere il da farsi. Alla fine, Carroccio e azzurri non partecipano al voto sugli Odg dei meloniani, che vengono sconfitti dallo sbarramento di Pd e M5s. Ma è l’ennesimo squarcio che si apre tra Lega e Fdi.
Anche i dem non si sentono per nulla appagati dal risultato raggiunto. Al Nazareno sono ai limiti della sopportazione per il Salvini "di lotta e di governo" e definiscono «infantilismo politico» la gara a chi si intesta un fisiologico superamento del coprifuoco in caso di dati positivi. Un’accusa mossa dai dem sia verso Salvini sia verso Fi e Renzi.
Medesimo film si ripeterà oggi al Senato sulla mozione di sfiducia di Fdi al ministro della Salute Speranza: Salvini ha già detto che non la voterà, ieri ha cercato di alzare la tensione annunciando di «voler prima parlare con il sottosegretario Sileri» (un 5s mai tenero sulla gestione della pandemia da parte del ministro), ma anche stavolta il partito di Meloni si ritroverà da solo.