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Spostarsi con i mezzi pubblici può essere una vera e propria odissea quotidiana. Lo sanno bene gli oltre sei milioni di italiani che ogni giorno viaggiano su autobus, treni, tram e metro per andare al lavoro, a scuola o all’università. Ma anche chi ricorre ai mezzi saltuariamente o vorrebbe fare a meno dell’auto viene scoraggiato dai molteplici problemi del settore, che assumono tratti peculiari nelle varie aree del Paese.
Nelle zone di provincia, dove il ricorso esclusivo ai mezzi privati è più frequente, le riduzioni delle corse annunciate da Nord a Sud rischiano di allontanare ulteriormente la popolazione dalla mobilità pubblica.
In Toscana è previsto il taglio di oltre 7mila chilometri di linee di autobus, e a farne le spese saranno i piccoli comuni della montagna pistoiese e della Svizzera pesciatina, che rischiano di rimanere isolati.
Anche in Piemonte saranno eliminate numerose tratte sulla linea che collega Chivasso a Torino, penalizzando gli abitanti della collina.
Tagli anche nell’hinterland milanese, con una riduzione della frequenza degli autobus che priverà i cittadini di Bresso e Cormano del collegamento diretto con l’ospedale Niguarda.
E, sempre in Lombardia, vengono segnalati disagi su diverse linee scolastiche, tra cui quella che collega Pavia a Milano, dove, a causa del sovraffollamento degli autobus, molti ragazzi sono costretti a rimanere a terra.
Sono infatti gli studenti che ogni giorno vanno a scuola con pullman e corriere – in Italia sono quasi mezzo milione – a subire le conseguenze peggiori dei problemi legati al trasporto pubblico extra-urbano: in Sicilia, un gruppo di genitori di Palma di Montechiaro, in provincia di Agrigento, ha inviato una lettera al presidente Mattarella per denunciare la grave carenza di mezzi che ogni giorno impedisce a molti ragazzi di raggiungere gli istituti del capoluogo, causando frequenti assenze e ritardi.
«Quello del sovraffollamento dei mezzi è un problema che riscontriamo in tutta Italia – spiega Mauro Mongelli, segretario del sindacato degli autoferrotranvieri Faisa-Cisal – e l’unico modo per risolverlo è aumentare le corse, ma per aumentare le corse servono gli autisti».
Scoraggiati dai bassi stipendi e dall’alta precarizzazione del settore, infatti, i conducenti di autobus sono sempre meno. «Il salario minimo di un autista è di 1.150 euro al mese, una retribuzione troppo bassa rispetto al livello di responsabilità richiesto», prosegue Mongelli. «Inoltre, va tenuta in considerazione la spesa per prendere l’apposita patente, che arriva a costare fino a 3.500 euro».
In aggiunta a tutto questo, ci sono regioni in cui la condizione degli autisti è particolarmente problematica. «In Molise molti conducenti non ricevono lo stipendio da quasi sei mesi, con le aziende che, dal canto loro, affermano che saranno in grado di ripristinare le retribuzioni solo quando saranno liquidati i fondi regionali». Un circolo vizioso che non accenna a essere disinnescato e che crea una situazione insostenibile per lavoratori e viaggiatori, per cui spesso il trasporto su gomma è una scelta obbligata, data la carenza o la totale assenza di linee ferroviarie in alcune zone del Paese.
Stando al rapporto Pendolaria 2023, con cui Legambiente fa il punto sul trasporto su ferro nel nostro Paese, i problemi infrastrutturali hanno pesanti ripercussioni sulla qualità dell’esperienza degli utenti che scelgono di viaggiare in treno, con marcate differenze tra Nord e Sud.
È infatti nel Mezzogiorno che sono più evidenti gli effetti dei mancati investimenti: «Le situazioni peggiori le troviamo in Sicilia, regione in cui più dell’80% delle ferrovie è a binario unico, e in Calabria, dove l’elettrificazione della direttrice ionica, che doveva essere conclusa entro quest’anno, è slittata ulteriormente», illustra Gabriele Nanni, ricercatore di Legambiente e autore del report. «Questo spinge l’utenza a preferire il trasporto su gomma e, su alcune linee come la Circumvesuviana e la Roma-Ostia, dove la continua soppressione delle corse a causa dei frequenti guasti ai treni crea enormi disagi, ormai i pendolari sono decimati rispetto a quindici anni fa», prosegue Nanni.
«E – conclude - solo migliorando la qualità dei servizi di trasporto si può sperare in un loro ritorno sui treni e, in generale, su un maggior uso dei mezzi pubblici da parte della popolazione, fattore cruciale per la riuscita della transizione ecologica».