Tre potenti funzionari pubblici in carcere insieme a un imprenditore iperattivo, l’uomo simbolo dell’«Italia del fare» indagato per corruzione, uno dei coordinatori del partito di maggioranza relativa inquisito con un’altra ventina di persone. L’inchiesta principale sugli appalti dei grandi eventi è raccontata in circa 20mila pagine di atti giudiziari dai quali sono emersi, fin qui, numerosi pesanti indizi, ma anche deduzioni tutte da provare. Ore e ore di intercettazioni telefoniche vengono pubblicate "a puntate" dai principali quotidiani: alcune sembrano interessanti sotto il profilo penale, altre sono evidentemente semplici (e gravi) violazioni della riservatezza altrui. In ogni caso, si tratta di carte che dovrebbero essere utilizzate solo nell’ambito del dibattimento giudiziario e non per istruire processi mediatici.Le inchieste, in tutto, sono quattro: nascono separate, s’incrociano, talvolta si scontrano, si sovrappongono sul filo del principio della competenza territoriale. Protagonisti i magistrati di Firenze, di Roma, di Perugia, dell’Aquila. Come inquirenti e, nel caso dell’ormai ex-procuratore aggiunto della Capitale Achille Toro, in veste di indagato.
FIRENZE. Dal capoluogo toscano sgorga il fiume d’intercettazioni che è sfociato negli arresti di Angelo Balducci (funzionario delegato alla gestione «Grandi eventi» e poi presidente del Consiglio dei Lavori pubblici), dei funzionari Fabio De Santis e Mauro Della Giovampaola, dell’imprenditore Diego Anemone. Sul registro degli indagati sono finiti tra gli altri il capo della Protezione civile Guido Bertolaso, il deputato Denis Verdini (uno dei tre coordinatori nazionali del Pdl), il presidente della sezione di controllo della Corte dei conti della Campania Mario Sancetta, il funzionario del ministero delle Infrastrutture Antonio Di Nardo, gli imprenditori Riccardo Fusi e Francesco De Vito Piscicelli. In una telefonata tra quest’ultimo e il cognato Pierfrancesco Gagliardi, intercettata poche ore dopo il sisma che ha distrutto L’Aquila, si ride al pensiero di fare soldi con la ricostruzione.L’impianto accusatorio si fonda su un asserito sistema di «corruzione gelatinosa»: in sostanza, gli uomini dello Stato avrebbero pilotato gli appalti in favore degli imprenditori in cambio di «favori e altre utilità», per esempio automobili, cellulari, mobili di pregio, ristrutturazioni di abitazioni private, incontri sessuali con prostitute di lusso. Nel mirino le opere realizzate in vista del vertice G8 a La Maddalena, in Sardegna (ma poi spostato a L’Aquila), per i Mondiali di nuoto tenuti a Roma la scorsa estate, e quelle da realizzare per le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia in programma l’anno prossimo.La procura fiorentina, guidata da Giuseppe Quattrocchi, si è imbattuta in questo filone nel corso delle indagini sulla trasformazione urbanistica dei terreni di Castello, che hanno portato al coinvolgimento dei due ex-assessori comunali Graziano Cioni e Gianni Biagi e del costruttore Salvatore Ligresti.
ROMA. I sostituti procuratori capitolini Assunta Cocomello e Sergio Colaiocco già indagavano sugli appalti relativi a G8, Mondiali di nuoto e 150° dell’Unità. E tra i 17 indagati del fascicolo romano figuravano Balducci, Della Giovampaola, Anemone, più Claudio Rinaldi, commissario delegato dalla Protezione civile per i campionati di nuoto. Le ipotesi di reato andavano dall’associazione per delinquere alla corruzione, dall’abuso d’ufficio alla turbata libertà degli incanti, alla ricettazione. Poi, con l’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Firenze Rosario Lupo ed eseguita il 10 febbraio, la procura di Roma è venuta a sapere (almeno ufficialmente, perché i giornali lo avevano già scritto) che le indagini dei colleghi toscani andavano avanti da quasi due anni. Una circostanza, questa, che non è stata presa bene a Piazzale Clodio, anche se ieri il procuratore Giovanni Ferrara ha voluto ridimensionare la polemica con Quattrocchi.A Roma, soprattutto, non è piaciuto scoprire solo alla vigilia degli arresti che tra gli indagati di Firenze figurava il procuratore aggiunto Achille Toro (con suo figlio Camillo), per rivelazione di atti d’ufficio in favore di alcuni inquisiti. Proprio per il coinvolgimento di Toro, tutti gli atti che sarebbero dovuti passare per competenza territoriale da Firenze alla Capitale, sono finiti invece alla procura di Perugia, titolare per legge di ogni procedimento che veda coinvolti magistrati romani. Nel frattempo Toro ha detto addio alla toga per «essere libero di difendere l’onorabilità» sua e di suo figlio. A Roma resterà solo il fascicolo sulle presunte violazioni urbanistiche relative alle strutture realizzate per i Mondiali di nuoto.
PERUGIA. La città umbra, quindi, è adesso il centro di tutte le indagini fin qui svolte. Il primo atto dei pm Sergio Sottani e Alessia Tavernesi è stato quello di aggiungere ai reati ipotizzati per Toro anche quelli di corruzione e di favoreggiamento. E di chiedere al gip di rinnovare l’ordinanza di custodia cautelare emessa a Firenze nei confronti di Balducci, Anemone, De Santis e Della Giovampaola. Gli inquirenti umbri, che hanno sentito nei giorni scorsi il procuratore di Roma Ferrara, sospettano che la contropartita della presunta corruzione di Toro possa essere stato un posto di lavoro per il figlio, che attualmente dipendente di Acea Spa, azienda romana fornitrice di acqua ed energia.
L’AQUILA.Una parte degli atti, infine, è stata richiesta a Firenze dal procuratore aquilano Alfredo Rossini. L’interesse dell’ufficio giudiziario abruzzese è puntata, in particolare, sugli appalti ottenuti per i lavori del dopo-terremoto dal Consorzio «Federico II», costituito dalle imprese Ettore Barattelli e Marinelli-Equinozi, entrambe dell’Aquila, e dalla toscana Bpt Spa del presidente dimissionario (proprio perché indagato) Riccardo Fusi.