È pomeriggio quando, dal Lussemburgo dove è in corso il Consiglio dei ministri di Giustizia dell’Unione europea, il Guardasigilli Paola Severino lancia l’ultimatum alle forze politiche che sostengono l’esecutivo: «Martedì alla Camera intendiamo chiedere la fiducia sul disegno di legge anti-corruzione. E se non l’abbiamo, il governo fa le valigie e torna a casa». A onor del vero, l’intenzione del governo di porre la fiducia, facendo confluire in un maxi emendamento almeno gli articoli 10, 13 e 14 del ddl, finora accantonati perché non condivisi appieno, era stata anticipata nei giorni scorsi. Più che nei contenuti, dunque, l’
aut aut della Severino traspare dal tono deciso di chi, dopo mesi di consultazioni, vertici e incontri informali per mediare sugli articoli più controversi, non intende restare fino all’ultimo momento invischiato nelle logiche di contrapposizione che animano i partiti: «Mi ero sempre dichiarata aperta e disponibile. Ma ciò su cui non mi ero mai detta, e non sono tuttora disponibile, è considerare la giustizia una merce di scambio». Ai cronisti, la Severino ripete di sentirsi «assolutamente serena, perchè credo che il provvedimento sia importante, corretto e condivisibile». Poi, il Guardasigilli si addentra nella disamina del provvedimento, elencando alcune ragioni che, a suo parere, ne fanno un testo dalla solida architettura giuridica («È stato emendato, con miglioramenti: la riforma dei reati contro la Pubblica amministrazione, ad esempio, è un progetto serio») e si toglie qualche sassolino dalla scarpa. Ad Antonio Di Pietro (Idv), che ha definito lo spacchettamento delle misure sulla concussione «norme salva Ruby» (in riferimento a eventuali benefici nel processo milanese a carico di Silvio Berlusconi), risponde che la definizione «è profondamente ingiusta. La norma è stata costruita, rispettando esigenze tecnico-giuridiche, per distinguere tra concussione per induzione e per costrizione, cose profondamente diverse». Poi bacchetta chi se l’è presa col suo emendamento sui magistrati "fuori ruolo", bocciato in favore della proposta di Roberto Giachetti (Pd). Lo scopo dell’emendamento, aggiunge, era «rendere la norma costituzionalmente legittima, evitando un trattamento peggiore dei magistrati rispetto agli altri cittadini. Se un organo elettivo deve durare 7 o 9 anni, non vedo perchè un comune cittadino possa ricoprire l’incarico per l’intera durata e un magistrato debba lasciarlo dopo 5 anni. E serviva una moratoria, poiché molti magistrati scadranno insieme, sguarnendo uffici importanti delle istituzioni». Ma la ferita peggiore è l’accusa di favoritismi: «Mi aveva mosso l’interesse pubblico e, prima delle nomine per le
authority, non avevo ricevuto obiezioni». Non c’era alcuna volontà di introdurre una misura
ad personam per favorire Augusta Iannini, fresca di nomina al Garante per la privacy. Ridurlo a questo, è «frutto di una deformazione mentale che non comprendo».Quando le dichiarazioni del ministro rimbalzano in Italia, Lega e Idv non gradiscono, il Pd plaude, mentre nel Pdl prevale la rassegnazione di chi dovrà votare,
obtorto collo, la fiducia. Il testo, ripete il Guardasigilli, «è uscito con ampi consensi dalle Commissioni Giustizia e Affari costituzionali», reati come il traffico d’influenze illecite sono stati chiesti all’Italia dall’Ue e la stretta sulla corruzione ha il pieno sostegno del Quirinale. Sapientemente, però, lascia aperta una porticina per ritocchi dell’ultim’ora: «Se non ci saranno passi in avanti, se non ci saranno iniziative dei partiti per sbloccare la situazione», ribadisce per l’ultima volta, allora e solo allora «il governo dovrà chiedere la fiducia».