Stamattina all'alba erano 43. Domani altri 47. Sono le famiglie fuggite da Aleppo, Homs, Raqqa ed Edlib e rifugiatesi in Libano. Un terzo sono bambini, poi anziani e persone bisognose di cure. Ieri grazie allo stesso modello sono sbarcati a Parigi altri 15 siriani, portando a 107 i profughi arrivati in Francia. E nei prossimi giorni altri arrivi in Belgio.
Il modello dei Corridoi umanitari fa proseliti, un meccanismo efficiente progettato e realizzato da Comunità di Sant'Egidio, Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), Tavola Valdese, in collaborazione con i ministeri dell'Interno e degli esteri. Lo stesso adottato anche dalla Cei che ha già prodotto due viaggi di reinsediamento, curati dalla Caritas, di profughi subsahariani dalla Libia. E di eritreti, somali e sudsudanesi dall'Etiopia, in questo caso in collaborazione tra Caritas e Sant'Egidio.
Quando il gruppo dei siriani entra nella sala dell'aeroporto Leonardo Da Vinci - per primi i bambini che gridano «Viva l'Italia» agitando bandierine e palloncini - ad attenderli non ci sono solo le comunità cristiane e riformate che li accoglieranno a Roma, Torino, Genova, Scicli, Iglesias, ma anche molti familiari siriani, arrivati con i primi viaggi da febbraio 2016. Da allora da Beirut sono arruivate con 17 voli più di mille persone. Cristiani e musulmani, avviati in un percorso di integrazione grazie ad un modello di accoglienza diffusa. Lingua, scuola, lavoro, casa. Tutto a carico dei promotori, in tutta sicurezza. Per i profughi che evita i viaggi della disperazione, per l'Italia che sa con esattezza chi è che accoglie.
Ad abbracciare, Majida, 65 anni, cappotto fino ai piedi e hijab in testa, c'è il figlio Jalal, emigrato in Italia 20 anni fa, sua moglie friulana Sara e una delle sue due nipotine. Si chiama Majida anche lei, ha 7 anni e gli occhi chiarissimi e la nonna non l'ha mai vista. Ma gliene hanno parlato tanto e ora l'abbraccia stretta. Non c'è bisogno di parlare - e non si capirebbero - per trasmettersi tutto questo bene. In realtà Majida quando aveva tre mesi dalla nonna in Siria c'era andata, ma non può ricordarsene. «Già scoppiavano i primi disordini - racconta la mamma Sara - e da allora nonna Majida non ha più visto la sua nipotina».
Ranja e Rima si abbracciano strette con gli occhi pieni di lacrime di gioia. Ranja non riesce a credere di essere uscita dal campo profughi in Libano. Il marito di Rima, Daoud, era arrivato in Italia nel 1991 per studiare al politecnico di Milano. Poi è tornato in Siria, ha fatto l'interprete, ha tradotto libri. E nel 2015 è riuscito ad arrivare in Italia assieme alla moglie. Tre anni di paura e angoscia per la sorella, dal cui abbraccio ora Rima si libera piangendo.
Poi c'è Nofa, con una confezione da pasticceria in mano, che aspetta il marito Hassan. Lei è arrivata qualche mese fa con i bambini, la piccola Ola di 9 anni e Ali, magrissimo anche lui, di 7. Avevano bisogno di cure urgenti, perché sono entrambi talassemici. Anche questa piccola famiglia è riuscita a uscire quasi indenne dall'inferno siriano.
Paolo Naso parla a nome della Fcei e prende in prestito le parole di Martin Luther King, di cui il 4 aprile ricorre l'anniversario della morte: «L'opportunista chiederebbe: cosa ci guadagnate? Il populista: la gente cosa ne pensa? I paurosi: ce la farete? Solo la coscienza si chiede: ma è giusto? E noi siamo qui perché è doveroso e giusto farlo».
Parla il presidente di Sant'Egidio, l'interprete tra duce in arabo alla piccola platea stanca ma felice: «I frutti della pace che abbiamo in Europa - dice Marco Impagliazzo - sono l'accoglienza e l'ospitalità che noi viviamo oggi. Nella vostra cultura l'ospitalità è fondamentale. Oggi lo è anche per noi e lo deve diventare sempre di più nella cultura europea».
«Oggi siamo felici di vedere il sorriso di speranza di tanti bambini», dice il viceministro degli Esteri, Mario Giro. «La guerra in Siria
è lo scandalo di questo secolo perché non è stata fermata. Non ci sono stranieri, etnie diverse, ma solo uomini e donne che devono essere contro la guerra, che è il nostro unico nemico, fonte di tutti i mali, della povertà, dell'emigrazione. Sono preoccupato perché troppo spesso si parla di guerra come una cosa normale. La guerra non è una cosa normale. La pace è normale. A tutti gli italiani dico: manteniamo la pace nel nostro Paese affinché ci possa essere la pace per tutti».