sabato 22 luglio 2023
La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, con il ministro degli Esteri, Antonio Tajani

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, con il ministro degli Esteri, Antonio Tajani - Ansa

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Alcune delegazioni internazionali sono già nella Capitale da ieri. Ma anche chi dovesse arrivare oggi con un volo mattutino, farebbe in tempo perché l’avvio dei lavori, nel Palazzo della Farnesina, è previsto intorno alle 13. La Conferenza internazionale «su sviluppo e migrazioni», in programma in giornata a Roma, è di fatto un ulteriore tassello della strategia di approccio “multilaterale” su cui sta puntando l’esecutivo guidato dalla premier Giorgia Meloni, nell’intento di provare a «governare il fenomeno migratorio», contrastare il traffico di esseri umani e «promuovere lo sviluppo economico secondo un nuovo modello di collaborazione fra Stati». Un modello, fanno filtrare alla vigilia fonti diplomatiche, che intende operare «attraverso la pianificazione e la realizzazione congiunta di iniziative e progetti in sei settori: agricoltura; energia; infrastrutture; educazione-formazione; sanità; acqua e igiene».

Europa-Africa-Medio Oriente. Al summit - che arriva alla vigilia del vertice Fao e nell’imminenza del viaggio in Usa della premier, in cui la questione Nord Africa sarà comunque toccata - sono attesi «i leader di quasi tutti gli Stati della sponda Sud del Mediterraneo allargato, del Medio Oriente e del Golfo, nonché degli Stati Ue di primo approdo e di alcuni partner del Sahel e del Corno d’Africa». Si tratta, viene fatto notare, di nazioni di origine, di transito e di primo arrivo in Europa dei flussi di migranti, ma anche di partner come «gli Stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo». Insieme a loro, i vertici delle istituzioni finanziarie internazionali e di quelle europee, a partire dalla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen. Una presenza, insieme a quella del presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, che secondo le feluche italiane «è la dimostrazione della forte sensibilità europea verso questi temi» e del fatto che il governo abbia «contribuito in maniera determinante in questi mesi portando di nuovo l’attenzione di tutta l’Ue verso il Mediterraneo e l’Africa».

I partecipanti ragioneranno sulle emergenze in corso e della possibilità di «lanciare una strategia di sviluppo condivisa». Ad accoglierli sarà un saluto del vicepremier Antonio Tajani, mentre la presidente del Consiglio parlerà due volte, in apertura e al termine delle due sessioni di lavoro, tracciando le conclusioni. Subito dopo, dovrebbe tenere un punto stampa nella sala intitolata ad Aldo Moro.

«Modello Tunisia». In base alle valutazioni che filtrano da ambienti di governo, le aspettative dell’esecutivo e della stessa premier rispetto all’esito dell’evento sono alte. A livello europeo - è la convinzione dell’esecutivo - c’è ormai piena consapevolezza dell’importanza e delle opportunità della sponda sud del Mediterraneo e del continente africano. Le conclusioni del Consiglio europeo di giugno riflettono quella consapevolezza e «indicano il partenariato con la Tunisia il modello da seguire». Tuttavia, «affrontare il tema migratorio solo a livello securitario non funziona: bisogna guardare alle cause profonde del fenomeno», viene spiegato. Si tratta, filtra ancora, «di un’iniziativa di politica estera senza precedenti in tempi recenti, nella quale l’Italia esercita il suo ruolo guida nel Mediterraneo allargato» per confrontarsi con emergenze che il nostro Paese «non può e non vuole affrontare da solo».

«Primo passo» verso il Piano Mattei. Il rendez-vous, fortemente voluto dalla presidente del Consiglio e messo in piedi col supporto del ministero degli Esteri, è «il primo passo verso l'elaborazione di quel Piano Mattei che l’Italia illustrerà a novembre in occasione della Conferenza Italia-Africa». Un caposaldo della politica estera meloniana - e insieme un “oggetto oscuro” evocato dalla premier sin dal suo insediamento -, il cui contenuto (interventi concreti, partnership, linee guida della cooperazione e importi dei fondi da stanziare) sarà conoscibile, come detto, solo nel prossimo autunno. La road map immaginata da Palazzo Chigi, in ogni caso, riguarderà «un progetto di lungo periodo», viene spiegato, un «percorso pluriennale internazionale con impegni concreti e verificabili da parte degli Stati partecipanti proprio sui temi dello sviluppo e delle migrazioni». Ciò perché «c’è la consapevolezza che soltanto con un’azione coesa, determinata e capace di guardare lontano per affrontare le cause profonde dei flussi irregolari», si potrà «sconfiggere l’attività criminale dei trafficanti di esseri umani, sostenendo e promuovendo la migrazione legale in un contesto regolamentato».

Il contro-summit delle ong. Da giorni, dopo l'intesa Ue-Tunisia che ha stanziato 105 milioni di euro al Paese di Kais Saied per il contrasto all'immigrazione irregolare, le organizzazioni non governative sono in fibrillazione. «Niente accordi sulla nostra pelle», è lo slogan dell’African counter summit in programma oggi allo Spin Lab di Roma, organizzato da Refugees in Libyae Mediterranea saving humans, con la presenza di attivisti rifugiati provenienti da diversi paesi dell’Africa. Mediterranea parla di «accordi-vergogna» e viene ribadito come «memorandum e accordi militari e commerciali tra Unione Europea e Italia, che sostengono i regimi dittatoriali e antidemocratici dei Paesi rivieraschi del Mediterraneo subsahariani» siano stretti «in cambio del “blocco” in stato di detenzione di donne, uomini e bambini». Già venerdì , 27 enti - capeggiati da EgyptWide for Human Rights - hanno scritto alla presidente del Consiglio per esprimere preoccupazione e per chiedere di considerare le implicazioni di partenariati strategici per la gestione dei flussi migratori «con governi autoritari e non trasparenti, tra cui Egitto e Tunisia, e con la Libia, teatro di crimini contro l’umanità». Analoghe perplessità sono state manifestate da Medici senza frontiere: «il futuro è più a rischio per chi fugge», si osserva, perché il vertice di Roma è «un’ulteriore tappa della strategia di esternalizzazione a Paesi terzi del controllo delle frontiere esterne dell’Europa», che non tiene conto, anche in Paesi con cui si stringono intese, del «rischio di sfruttamento, violenza, tortura e altre gravi e ben documentate violazioni dei diritti fondamentali».


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