Ansa
Piuttosto che frenare il processo di rinnovamento del M5s, la lettera di Beppe Grillo a Giuseppe Conte l’ha accelerato. Lo scambio ha offerto all’ex premier l’occasione perfetta per dimostrare alla sua comunità di essere un leader di rottura, allergico alla logica dei caminetti e deciso a difendere il principio della democrazia diretta, chiave di volta del successo elettorale del primo Movimento. Una direzione che l’ex avvocato del popolo ha imboccato già da ieri, dando il via al processo costituente dopo il Consiglio nazionale convocato in mattinata nella sede del M5s. Il nuovo Movimento sarà «rivoluzionario », ha annunciato il presidente pentastellato, «mai una forza politica, un partito, si è messo in discussione in questo modo, coraggiosamente». Già, un «partito », perché se fino a qualche mese fa il termine non era ammissibile, ora non è più così. Non a caso Stefano Patuanelli lo ha sdoganato in una recente intervista e l’entourage di Conte conferma: «Se per partito intendiamo una organizzazione territoriale radicale, lo siamo».
Un cambio di passo repentino nel rapporto tra il leader e Grillo. I due non si erano più visti dal confronto avuto dopo il tonfo europeo, quando il garante era sceso a Roma e l’ex premier gli aveva accennato l’intenzione di lavorare a un’assemblea costituente. Poi è arrivato lo scambio di lettere con il fondatore, che in buona sostanza ha chiesto di passare da lui prima di lavorare all’assemblea e ha rivendicato, in quanto «custode dei valori del Movimento », una sorta di diritto di veto sui temi da proporre all’eventuale voto degli iscritti (il che molto spesso significa orientarne anche l’esito). Peccato però che la lettera abbia invece convinto Conte a rompere definitivamente gli indugi. La fase preliminare della «rivoluzione » inizierà da subito (entro agosto). Sarà «il più grande esperimento di democrazia partecipativa mai realizzato in Europa», ha scandito il leader, allargato «anche ai non iscritti», che per la prima volta potranno «elaborare nuove soluzioni e nuovi obiettivi strategici cui il Movimento si dedicherà negli anni a venire». Sarà poi l’organizzazione del partito a raccogliere le istanze arrivate dal basso e a farne dei punti programmatici da portare in assemblea, a cui però saranno ammessi solo i pentastellati “ufficiali” e soltanto a seguito di uno step intermedio «affidato a un campione stratificato di 300 partecipanti rappresentativi della base», come si legge nel documento elaborato dal Consiglio nazionale. La strategia punta ad allargare il consenso e a «contrastare il segno dell’astensionismo», ha precisato l’ex premier. Il messaggio è chiaro: se ci chiudiamo siamo destinati a scomparire. Non è Grillo a decidere e neanche Conte, ma l’assemblea, come da statuto. Lo scontro è tra il vecchio e il nuovo. Dove il vecchio sono gli ex “portavoce” (almeno in parte) alcuni dei quali ancora in contato con Grillo e abituati a seguirne i diktat. Mentre il nuovo è l’attuale truppa parlamentare, che in larga parte non conosce il fondatore, non personalmente almeno, e preferirebbe un processo partecipativo.
Fin qui il metodo, che nel caso specifico ha un valore non indifferente, ma contano anche i contenuti. Al momento non è facile capire quale sarà l’esatto posizionamento del partito. Ma è tempo di rinnovarsi e per farlo potranno cambiare anche Statuto e Carta dei valori, perfino il nome, se l’assemblea dovesse deciderlo. Questa è la traccia che Conte vuole seguire: un M5s “in uscita”, un confronto costante con la base, senza consigli ristretti. Certo non mancheranno strutture di vertice ma non saranno il centro dei processi decisionali. L’indirizzo, le regole interne e le battaglie da portare in Parlamento saranno stabiliti assieme alla comunità del Movimento. Lo stesso vale per i temi più spinosi, come la regola dei due mandati, ma anche in questo caso il rimando è all’assemblea costituente. Se nella fase di raccolta delle proposte l’istanza verrà rappresentata in modo decisivo, la questione verrà posta all’attenzione degli iscritti. Questo forse non piacerà a Grillo, che ha sempre difeso la regola identitaria. Ma l’eventualità di veder crollare il totem imposto dal fondatore non è remota. Specie dopo le lamentele di molti parlamentari per le liste europee e lo svantaggio evidente di presentare sconosciuti a ogni tornata elettorale. Discorso identico per l’alleanza con i dem. Per ora «l’obiettivo è mandare a casa Meloni – ha detto Conte in serata –. Ma per costruire un'alternativa seria occorre farlo su progetti chiari e con compagni viaggio affidabili». Certamente il tema arriverà all’assise di ottobre. Non il 4, come in molti danno per scontato. Una data suggestiva (è l’anniversario della fondazione e la festa di San Francesco), ma circolata senza un riscontro reale. Quello che è sicuro è la postura progressista. E Grillo? È davvero intenzionato a rompere o a fare una battaglia legale per il simbolo come scritto da alcuni giornali? Tralasciando che la proprietà del simbolo non è dell’ex comico ma dell’Associazione Movimento 5 Stelle, con lui, spiega Conte, «ci siamo sempre sentiti, continueremo a farlo. Abbiamo una visione diversa, ma il processo costituente non si fermerà. Grillo è fondatore e attualmente Garante, nessuno gli toglie questo ruolo». «Attualmente», beninteso, perché se l’assemblea dovesse cambiare idea, nessuno può dire cosa succederà.