Con la decisione di non partecipare al voto di fiducia in Senato il Movimento tira dritto e «toglie il disturbo», per usare le parole della capogruppo a Palazzo Madama, Mariolina Castellone. E in fondo sceglie l’unica via percorribile, perché un bluff (ammesso che lo sia), va portato avanti fino in fondo e la dichiarazione della senatrice pentastellata ricalca la linea inaugurata da Giuseppe Conte con il casus belli del "dl Aiuti" e mantenuta ufficialmente per tutta l’assemblea permanente che ha accompagnato le fasi dello strappo.
In sostanza, ribadiscono ancora una volta i 5 Stelle, a contare sono i temi, per il bene delle famiglie e delle imprese, anche se non si tratta di una sfiducia – precisano – e la decisione di partecipare comunque alla chiama piuttosto che uscire dall’aula per garantire la legittimità del voto, dovrebbe dimostrarlo. L’ex avvocato del popolo lo ripete in serata: «Oggi era l’occasione per confrontarsi e ricevere da Draghi impegni precisi sulle priorità che avevamo indicato. Invece questa discussione non c’è stata», anzi «su alcune misure c’è stato un atteggiamento sprezzante. Ci dispiace, abbiamo ricevuto anche degli insulti». «Non abbiamo capito – insiste – quale potrebbe essere la soluzione per il superbonus per 50mila imprese che sono sull’orlo del fallimento, non abbiamo compreso se c’è l’intenzione di fare il salario minimo». Poi il j’accuse finale: «C’è stato un forte ostruzionismo e una deliberata volontà di cacciarci fuori dalla maggioranza. Continueremo le nostre battaglie per chi non ha voce».
Una scelta compatta comunque, senza defezioni, che almeno per ora (ma alla Camera potrebbe andare diversamente), allontana lo spettro di una nuova scissione. E probabilmente restituisce una certa credibilità alla leadership del presidente grillino. Non è poi difficile immaginare che le parole dure di Draghi sul superbonus abbiano contribuito a cementare il gruppo in Senato, dove fino a ieri si ipotizzava ci fossero fino a 10 possibili governisti pronti ad andarsene per raggiungere i dimaiani. «Dopo una replica così, che ca... dobbiamo dirgli?», pare sia stata una delle esternazioni che ha animato la chat dei senatori grillini. Non a caso il timore che aleggia ora tra i pentastellati è che il premier abbia ritardato le proprie dimissioni per facilitare la scissione con un voto anche a Montecitorio.
Come detto comunque la faccia è salva e gli interventi di Ettore Licheri prima e della stessa Castellone poi denunciano una certa coerenza, almeno ufficialmente, con l’ormai famoso documento in nove punti che ha contribuito a generare la rottura: «Dire che il reddito di cittadinanza ha effetti negativi sul mercato del lavoro e appoggiare le polemiche vergognose che insinuano che tutti i percettori siano degli scansafatiche, è un’offesa ai cittadini italiani», spiega in dichiarazione di voto la senatrice prima di ribadire la propria meraviglia per il fatto che «questo governo in un momento così drammatico abbia messo in discussione l’andare avanti». «Togliamo il disturbo – conclude –, ma rassicuriamo i cittadini che ci saremo sempre quando si tratterà di discutere e approvare provvedimenti utili». A rispolverare la bandiera della transizione ecologica, assieme a quella del salario minimo ci pensa invece Licheri, che poi chiede nuovamente, e non a caso, di conferire «dignità» al "papello" di Conte.
Da registrare infine il nuovo attacco di Alessandro Di Battista, con l’invito comparso in mattinata su Facebook a non sostenere l’ex capo della Bce: «Davvero qualcuno ha il fegato di votare la fiducia a Draghi? Ricapitoliamo le dichiarazioni del messia – scrive l’ex M5s –. Il reddito di cittadinanza verrà modificato come dico io e soltanto io. Sempre più armi in Ucraina perché la Nato conta più della Costituzione. Salario minimo ok ma seguendo gli ordini europei e lavorando a braccetto con i sindacati che non vogliono minimamente perdere parte del potere che ancora gli resta». Insomma lo stile barricadero a cui è spesso incline, rispolverato in tempo per il giorno del giudizio del governo e forse in vista di una nuova discesa in campo.