Mattarella insieme a Conte - Ansa
La crisi di governo viaggia veloce verso il suo esito più aspro. Già lunedì si andrà alla conta in aula senza paracadute, alla Camera. Martedì mattina si passerà al Senato, e così si saprà se Giuseppe Conte ha i numeri per continuare o dovrà salire al Quirinale per rassegnare le dimissioni. Tutti gli scenari sono ancora aperti tranne, a quanto pare - è la novità di giornata -, un rilancio della collaborazione con Matteo Renzi. Anche se, dovendosi andare ormai alla conta, ognuno dei parlamentari, (compresi quelli renziani) deciderà per sé, senza vincolo di mandato.
Il primo segnale di accelerazione nel primo pomeriggio. Quando Conte è salito per il secondo giorno consecutivo al Quirinale per comunicare a Sergio Mattarella la sua volontà di "parlamentarizzare" la crisi. Un’esigenza dettata anche dalle crescenti pressioni delle opposizioni sul Colle. Ma, a questo punto, era Conte stesso a non voler allungare i tempi, di fronte alla "spina staccata" da uno degli alleati. Un colloquio brevissimo, circa un quarto d’ora, solo per manifestare al capo dello Stato la sua determinazione a voler fare al più presto chiarezza, come lo stesso Mattarella aveva sollecitato, sopperendo nel frattempo al venir meno delle due ministre di Iv con un solo interim, per le Politiche agricole, essendo le Politiche familiari (detenute dalla dimissionaria Elena Bonetti) una delega, che farà capo, per ora, a Palazzo Chigi.
Il comunicato del Quirinale per dar conto del colloquio faceva però riferimento solo alla mera «volontà» del presidente del Consiglio di dar luogo a un «indispensabile chiarimento politico mediante comunicazioni da rendere dinanzi alle Camere». Una volontà di cui Mattarella non ha potuto che prendere atto, ma per alcune ore si andava ipotizzando che, appunto, di sole comunicazioni si potesse trattare, in attesa di proseguire le trattative nella ex maggioranza. Ma con il passare delle ore era sempre più chiaro che questo scenario andava tramontando con le parole sempre più definitive delle diverse componenti della maggioranza a escludere ogni nuova trattativa con Renzi, e persino ogni altro incarico che non fosse la riconferma dell’attuale premier.
Non solo il M5s. A questo punto lo blinda pure il Pd, visto che ogni altra figura avrebbe dovuto rappresentare un’ipotesi di mediazione da offrire a Renzi. Ma non è più aria, ormai. Lo sancisce il solitamente prudente Nicola Zingaretti. «Con Renzi le strade sono definitivamente divise», è la sentenza definitiva anche di Luigi di Maio, per il M5s. «È Renzi che lo ha deciso, pertanto questo discorso è chiuso», dice, in serata, anche il ministro Francesco Boccia. E a sera si chiarisce anche dall’ordine dei lavori di Camera e Senato che di vera e propria conta si tratterà. Le comunicazioni del presidente del Consiglio avranno «carattere fiduciario», emergeva dalla conferenza dei capigruppo. Quindi, dopo il dibattito, ci sarà il voto di fiducia, per appello nominale.
Si entra quindi ufficialmente nella fase della caccia ai "responsabili", con tutte le complicazioni (anche in caso di successo dell’operazione) legate alla costituzione di gruppi per dar vita a una vera maggioranza. La conta, nei numeri, si presenta particolarmente complicata soprattutto al Senato, dove però si è offerto come punto di approdo il Maie (il Movimento degli italiani all’estero che fa capo a Raffaele Fantetti), che avendo presentato il simbolo alle ultime elezioni può formare un gruppo se raggiunge i 10 parlamentari.
Ma ora si parla di anche di un nuovo gruppo («per Conte» o «con Conte») per mettere tutti insieme parlamentari di varia estrazione, alcuni ex M5s. Stesso schema alla Camera, dove già 8 ex 5s hanno compiuto il passo: 5 sono andati con il Cd di Bruno Tabacci e i 3 di Popolo protagonista si sono detti disponibili.
Discorso a parte per Forza Italia, visto che anche Di Maio fa riferimento, ora, alla larga maggioranza che regge la Commissione Europea. E due ex ministri azzurri come Renato Brunetta e Gianfranco Rotondi, d’intesa con Gianni Letta, stanno lavorando per provare a marcare una netta differenza dalla destra salviniana. «Gli italiani non vogliono la crisi, ma un esecutivo che governi», dice Brunetta.