Il presidente Mattarella e il premier Conte in una foto del novembre 2019 - Archivio Ansa
Con la comunicazione ai ministri delle dimissioni e la salita al Colle per riferire al capo dello Stato la crisi, forse, più indecifrabile della storia repubblicana (che pure ne ha viste tante) introduce un primo elemento di chiarezza: ora è crisi “vera”, formalmente aperta, dopo un mese vissuto in bilico.
Il paradosso, che consente di intuire tutta l’amarezza e la preoccupazione con cui Sergio Mattarella ha preso atto nel breve colloquio (mezz'ora) dello stato delle cose, è costituito dal fatto che questo scenario era stato prospettato già prima di Natale e ci si sarebbe potuti arrivare “in pace”, in virtù di una valutazione oggettiva: un esecutivo nato in piena estate, un anno e mezzo fa, trovatosi all’improvviso a gestire una pandemia e una conseguente crisi economica senza precedenti aveva bisogno di una ri-calibratura politica e un rafforzamento per reggere la enorme sfida.
Ma l’invito del capo dello Stato a un chiarimento franco a viso aperto non è stato seguito e il mancato ascolto del monito a non inseguire “illusori vantaggi di parte” del messaggio di Capodanno ha prodotto esattamente l’esito che si intendeva evitare: nessuno dei due contendenti ci ha guadagnato, e nel frattempo rischia di perderci il Paese, con le prime avvisaglie di una pressione speculativa sui mercati finanziari che si sono intravisti nel pomeriggio di ieri, subito dopo l’annuncio dell’apertura formale della crisi.
I temi sollevati da Matteo Renzi avevano tutti un loro fondamento: dalla debolezza della bozza iniziale del Recovery Plan all’utilizzo del Mes per potenziare il sistema sanitario; dall’opportunità di cedere, da parte del premier, la delega ai servizi segreti all’esigenza di aprire un nuovo corso con Biden dopo una fase di entusiasmo eccessivo, da parte di Conte, per l’amministrazione precedente che ha causato ferite profonde al multilateralismo di cui l’Italia è storicamente attore fondamentale.
Ed ecco il paradosso, riscritto il Recovery, ceduta la delega ai Servizi, corretto il tiro su Biden nella replica alla Camera (dopo che il Pd si era lamentato con Conte del mancato riferimento nella relazione iniziale) il presidente del Consiglio ha agito per progressive concessioni, sull’onda di uno scontro sempre più acceso e non nell’ambito di un chiarimento franco e sincero che si sarebbe potuto avviare con decisione, agli occhi del Quirinale, molto prima.
Il risultato paradossale è che il principale argomento divisivo rimasto, allo stato insuperabile, ossia l’utilizzo del Mes (che porterebbe al risparmio di alcune decine, forse qualche centinaio, di milioni di interessi) può ora rappresentare la “scusa” per sancire una rottura insanabile, che avrebbe come conseguenza difficilmente evitabile il voto anticipato, e con esso il rischio della perdita dei 209 miliardi del piano del Recovery (che com’è ora non soddisfa certo l’Europa), ai quali andrebbero aggiunti quelli dell’esplosione dello spread, inevitabile. Praticamente, ecco il paradosso, un’andata in fumo di svariati miliardi, per uno scontro in cui sono in ballo decine di milioni.
Le consultazioni che si aprono domani pomeriggio riveleranno se ci sono altre strade da poter seguire. Ma ll momento non ne risultano, al Quirinale, dove il centrodestra si è recato la scorsa settimana per certificare, unito, che “con questo Parlamento non si può lavorare”. Le larghe intese appaiono impraticabili, inoltre, dall’assoluta indisponibilità del Pd e del M5s a sommare i loro voti ai sovranisti, e anche una maggioranza “modello Ursula” appare al momento impraticabile per l’indisponibilità sin qui dimostrata da Forza Italia a uno schema che comporti la rottura del fronte di centrodestra. Tanto più che, dopo un'iniziale titubanza, al termine del vertice il centrodestra ha deciso di presentarsi nuovamente unito alle consultazioni al Quirinale, come avvenne nell'agosto del 2019.
In questo quadro toccherà al premier, per ottenere l’incarico, spiegare, entro il fine settimana, se pensa di poter ottenere la fiducia attraverso una complicata “pace” con Renzi, o attraverso la non meno complicata strada alternativa della formazione di nuovi gruppi a suo sostegno. Che questa seconda opzione non sia stata abbandonata lo dimostrano le notizie che arrivano dal Senato di tentativi ancora in corso per dar vita a un nuovo gruppo. Notizie per nulla rassicuranti, al momento, per Conte. Il quale dovrà allora valutare, fuori tempo massimo, se riprendere la strada, fattasi nel frattempo impervia, del dialogo con Renzi. Se si prospettasse una conta a rischio in una delle due Camere, infatti, difficilmente Mattarella sarebbe disposto a reincaricarlo. E a quel punto, esperito un estremo tentativo per le larghe intese, non resterebbe che un – irresponsabile quanto inevitabile – ricorso al voto anticipato, in piena pandemia, con la prospettiva esplosiva della fine del blocco dei licenziamenti e della cassa integrazione. E con l’incredula presa d’atto da parte di un’Europa che mai si era spesa così tanto per il nostro Paese e, più in generale, forse, per un singolo Paese dell’Unione in difficoltà.