venerdì 22 dicembre 2023
Non si arresta l’ondata iniziata ai primi di dicembre e che ha già fatto oltre mille vittime tra anziani e fragili. Che cosa rischiano e come possiamo proteggerli durante le feste
Persone in attesa in un hub vaccinale di Roma

Persone in attesa in un hub vaccinale di Roma - Ansa

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La domanda è tornata insistentemente ad essere questa: non è che hai il Covid? E via di seguito: hai fatto il tampone? Come facciamo coi nonni a Natale? E quel brutto raffreddore dei bambini? Sarà finita la pandemia, e sarà meno aggressivo il coronavirus in qualunque delle sue forme si sia evoluto (l’ultima a preoccupare gli esperti e l’Oms è JN.1), ma anche queste feste di Natale col Covid dovranno avere in qualche modo a che fare. E per il terzo anno consecutivo.

Dimenticate restrizioni e regole: la certezza ormai inamovibile – scandita da una linea politica da tempo ormai piuttosto allergica al tema – è che non dobbiamo più avere paura. O almeno, non tutti. Perché se è vero come non manca di sottolineare il direttore della Prevenzione del ministero della Salute Francesco Vaia che «la situazione è sotto controllo» e che «la curva epidemica è stabile», vero è anche che nell’ultima settimana sono stati 60.556 gli italiani colpiti dall'infezione (con un'incidenza di 103 casi ogni 100mila abitanti), in crescita di quasi il 10% rispetto alla settimana precedente. E, ciò che più conta, 435 sono stati i decessi a causa del Covid (+34,5% rispetto a 7 giorni fa), per un totale di oltre mille se si allarga lo sguardo alle tre settimane di dicembre. Mille morti di Covid, roba che in passato ha fatto tremare i polsi. E che adesso più che mai dovrebbe far riflettere, visto che il loro identikit è sempre lo stesso: anziani e grandi anziani, fragili, immunodepressi. Quelli che andavano e andrebbero protetti “costi quel che costi”, quelli che – sembra incredibile – in moltissimi casi si sono messi in fila dal medico di base per l’antinfluenzale, ma per il vaccino antiCovid aggiornato no.

Ecco allora l’improvviso, tardivo risveglio dell’interesse nei confronti delle vaccinazioni: dal 15 al 21 dicembre ne sono state eseguite 232.803, in forte crescita rispetto alla settimana precedente, quando se ne erano contate 186.083. Ma il dato è una goccia nel mare: ad essere coperto dalla quarta dose è appena l’11% della popolazione italiana e poco più del 35% della platea considerata più a rischio in caso di contagio, cioè quella dai 60 anni in su. Potrebbe funzionare la carte degli “open day”, come quello organizzato dalla regione Lazio per domani: tutti gli ospedali della Capitale mobilitati, oltre a numerosi ambulatori, e insistenti appelli in tv. E senz’altro funziona quella delle farmacie, che soprattutto in Lombardia hanno fatto e continuano a fare la parte del leone (da sole hanno coperto oltre la metà delle vaccinazioni effettuate in regione). Resta però la sensazione che l’efficacia della campagna vaccinale andasse studiata prima, e meglio, del picco – per altro ampiamente annunciato e atteso – legato alle feste di Natale, allo stare al chiuso tutti insieme, alle feste di famiglia e ai grandi eventi aziendali. E poco importa se anche nel resto d’Europa la cosiddetta stanchezza vaccinale si sia fatta sentire come da noi.

Ora non restano che le raccomandazioni: prudenza ai cenoni e ai pranzi di Natale, mascherine in caso di raffreddore e comunque sempre se si siede accanto a nonni e bisnonni, tamponi di controllo prima di fare visite e in presenza di sintomi. Con la speranza, alimentata dalle curva degli statistici che sul Covid continuano ad esercitarsi, che il peggio di quest’ondata invernale sia già passato e che in molti regioni si osservino già i primi segnali (timidi) di raffreddamento della situazione. Il rischio vero che tutti vorrebbero scongiurare è che un ritorno di fiamma dei contagi dopo le feste possa tornare a mettere sotto pressione gli ospedali, già segnati dalle grandi difficoltà che affliggono un sistema sanitario mai davvero vaccinato contro le emergenze. Non solo quella del Covid, purtroppo.

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