I giochi sono fatti. Domenica e lunedì si voterà anche sul referendum antinucleare. L’ultimo, e definitivo, via libera è arrivato ieri dalla Corte costituzionale che, dopo una breve camera di consiglio, ha approvato all’unanimità la sentenza stilata dal giudice Giuseppe Tesauro. Secondo la Consulta, il quesito, così come riformulato dalla Cassazione a seguito delle nuove norme introdotte dal dl "omnibus", «possiede i necessari requisiti di chiarezza, omogeneità e univocità». Ed è quello che la Corte doveva decidere per dichiarare ammissibile il referendum sull’atomo. Il quesito, infatti, secondo i giudici costituzionali, ha il «chiaro e univoco risultato» di «non consentire l’inclusione dell’energia nucleare fra le forme di produzione energetica».Ma la Consulta va oltre, sposando in pieno la tesi della Cassazione, secondo la quale le disposizioni contenute nei commi 1 e 8 dell’art. 5 del decreto "omnibus" prevedono solo una moratoria del nucleare, uno stop a tempo. Queste disposizioni, sentenzia la Corte costituzionale, sono «unite da una medesima finalità», vale a dire quella di «essere strumentali a consentire, sia pure all’esito di "ulteriori evidenze scientifiche" sui profili relativi alla sicurezza nucleare e tenendo conto dello sviluppo tecnologico in tale settore, di adottare una strategia energetica nazionale che non escluda espressamente l’utilizzazione dell’energia nucleare, ciò in contraddizione – secondo la Consulta – con l’intento perseguito dall’originaria richiesta referendaria». Insomma: non bastano a "stoppare" il referendum, diversamente da quanto sostenuto dal governo. Infine, precisano i giudici costituzionali rispondendo ad alcune contestazioni alla decisione della Cassazione, resta «fermo il fatto, ovviamente, che spetta al legislatore e al governo, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, di fissare le modalità di adozione della strategia energetica nazionale, nel rispetto dell’esito della consultazione referendaria». In altre parole nessuno stop all’approvazione di un piano energetico nazionale. Che, ovviamente, in caso di vittoria dei "sì" sarà senza atomo.Esulta il fronte referendario. «Vince l’intero corpo elettorale che Cassazione e Consulta erano chiamate a tutelare, contro un tentativo maldestro di raggirarlo», commenta l’avvocato Gianluigi Pellegrino, che ha sostenuto le tesi del Pd davanti alla Corte. «Sono felicissimo ma non sorpreso. Ce lo meritavamo perché non c’era alcun dubbio che avessimo ragione», dice il costituzionalista Alessandro Pace, rappresentante legale dell’Idv davanti alla Corte costituzionale. «Dalla Consulta arriva l’ennesimo e definitivo stop alle pretese di un governo che con una mano lascia libertà di voto e con l’altra cerca con ogni mezzo di sabotare il referendum. Ora la parola passa ai cittadini» commentano le oltre 80 associazioni del Comitato "Vota Sì per fermare il nucleare". Sulla stessa linea il leader dell’Idv, Antonio Di Pietro. «Dopo quest’ultima lezione giuridica e di civiltà, ci auguriamo che il governo la smetta di frapporre bastoni tra le ruote» sul quesito per il nucleare.Un po’ tutti inquadrano nel mirino il governo, che per ora non commenta. «La Corte costituzionale mette la parola fine ai tentativi del governo di bloccare il ricorso alla volontà popolare» attacca Fabio Granata di Fli. Di «ultima gaffe del governo» parla il presidente dell’Api Francesco Rutelli, secondo cui la conclusione a cui è giunta la Consulta «era già scritta, quando l’esecutivo ha fatto il pasticcio di trasformare l’abrogazione di una norma in una sospensiva». «L’arroganza del governo è stata nuovamente sconfitta», afferma Ermete Realacci, responsabile
green economy del Pd. Il governo, aggiungono i senatori del Pd Francesco Ferrante e Roberto Della Seta «si è platealmente dato la zappa sui piedi imbastendo una moratoria fasulla con un emendamento che faceva acqua da tutte le parti». «Le motivazioni depositate dalla Corte costituzionale sul referendum per il nucleare smascherano definitivamente l’ipocrisia e la bassezza del governo Berlusconi» taglia corto il capogruppo del Pd al Senato, Anna Finocchiaro.