I tagli alle retribuzioni superiori ai 90mila euro dei dirigenti pubblici sono incostituzionali così come il blocco di acconti e indennità a carico dei magistrati. La Consulta salva i "paperoni" di Stato dalla tegola del contributo di solidarietà imposto dal governo Berlusconi e poi recepito da Monti nell’ambito delle manovre anti-deficit. E sotto la scure è finita pure la trattenuta del 2,5% a carico dei dipendenti pubblici sul Tfr.La Corte ha stabilito l’illegittimità del provvedimento sugli stipendi laddove dispone (articolo 9) che dal primo gennaio 2011 al 31 dicembre 2013 i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti delle amministrazioni pubbliche siano ridotti del 5% tra i 90 e i 150mila euro annui e del 10% oltre questa quota. Secondo i magistrati della Consulta, «il tributo imposto determina un irragionevole effetto discriminatorio», violando il principio di uguaglianza tra i cittadini. In altre parole il governo ha il diritto di aumentare il prelievo fiscale ma deve farlo, a parità di reddito, per tutti i contribuenti e non già per una sola parte. Stesso discorso per le misure a carico delle retribuzioni dei magistrati: cassate quelle che hanno disposto la non erogazione di acconti e conguagli dal 2010 al 2013 e i tagli alla cosiddetta indennità speciale.L’intervento della Corte ha una forte valenza simbolica. Attraverso questi provvedimenti infatti le ultime manovre anti-crisi puntavano a spostare sui contribuenti più abbienti una parte del peso del risanamento. Si tratta di circa 26mila persone tra dirigenti, manager, medici e docenti universitari ai quali si dovranno restituire le somme prelevate e gli interessi. Un’operazione che potrebbe costare circa 50 milioni di euro e che obbliga governo e ministero dell’Economia a correre ai ripari. Mentre l’Unadis (dirigenti pubblici) esprime «grande soddisfazione» per la sentenza, la Fp-Cgil Medici chiede che sia applicata anche per «i circa 10mila medici pubblici che hanno visto decurtata la loro retribuzione già dal 2011», ai quali «ora vanno restituite le somme sottratte». Per la Lega Nord invece la decisione della Corte «grida vendetta».Secondo i giudici la normativa esaminata «non può considerarsi una riduzione delle retribuzioni, come sostiene l’Avvocatura dello Stato» ma si tratta invece di «un’imposta speciale prevista nei confronti dei soli pubblici dipendenti» che viola «il principio della parità di prelievo a parità di presupposto d’imposta». L’irragionevolezza non risiede quindi nell’entità del prelievo denunciato, ma nella ingiustificata limitazione della platea dei soggetti passivi. La Consulta non risparmia una stoccata quando nota che il risultato sul bilancio «avrebbe potuto essere ben diverso e più favorevole per lo Stato laddove il legislatore avesse rispettato i principi di eguaglianza dei cittadini e di solidarietà economica, anche modulando diversamente un’universale intervento impositivo». Mentre le disposizioni adottate si pongono «in evidente contrasto» con gli articoli 3 («Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge...») e 53 («Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva...») della Carta fondamentale. Il governo dal 2011 ha imposto un prelievo straordinario del 3% su tutti i redditi superiori ai 300mila euro ma, nota la Consulta, ha «inopinatamente scelto di imporre ai soli dipendenti pubblici, per la medesima finalità, l’ulteriore speciale prelievo tributario».