«Sì, la Chiesa italiana è preoccupata per il numero crescente di famiglie in difficoltà, per i lavoratori che stanno perdendo il loro posto, per quelli già precari il cui orizzonte occupazionale sembra chiudersi. E ancora per le tante persone anziane che faticano sempre più a vivere dignitosamente. Come potremmo non essere preoccupati per questa crisi? Come sempre la viviamo, la condividiamo con il popolo e, certo, intensificheremo ulteriormente le nostre iniziative per contrastarla. Anzitutto, stando accanto ai più deboli dei quali ben conosciamo i bisogni ». L’arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, affronta il tema della chiusura di questo 2008 caratterizzato da un quadro di incertezza senza precedenti. La crisi economica, in particolare, sembra destinata a minare alla base non solo il benessere della nostra società, ma la sicurezza del lavoro e quindi la possibilità stessa di sostenere la propria famiglia, realizzare progetti di vita, con riflessi negativi sul complesso della società.
Eminenza, già nella sua prima prolusione nel 2007, lei sottolineò la situazione di difficoltà che un numero crescente di famiglie si trovava ad affrontare. Oggi i segnali che vengono dalle parrocchie indicano un peggioramento? La situazione si è decisamente aggravata e non solo nelle ultime settimane. Si è allargata la forbice tra ricchi e poveri, in particolare si è andata impoverendo la fascia di ceto medio. Le parrocchie, attraverso i centri di ascolto, le strutture della Caritas e della San Vincenzo hanno già dovuto incrementare sia i volumi di aiuti alimentari, sia i contributi per far fronte alle spese per le utenze e per l’affitto di un numero crescente di famiglie cadute in povertà. Segno di un impoverimento progressivo, anche antecedente alla recessione, al quale cerca di rispondere la rete fittissima di carità e pronto intervento stesa dalle parrocchie nel corso degli anni.
Possiamo dire, dunque, che la Chiesa è già in campo su questo fronte. Cos’altro può fare?Bisogna intensificare ancora presenza e interventi, mobilitando al massimo le risorse di cui disponiamo – anche dell’8 per mille – secondo la tradizione viva della Chiesa, secondo la sua missione. D’altro canto, la Chiesa conosce da vicino i problemi veri della gente proprio perché è presente in mezzo al popolo con i parroci, i religiosi e le religiose, gli operatori pastorali. Una conoscenza non solo 'razionale', ma esistenziale perché la Chiesa è chiamata a condividere queste situazioni di bisogno giorno per giorno, a viverle essa stessa.
Il giorno di Natale, l’Arcivescovo di Milano ha annunciato la creazione di un fondo di solidarietà attiva. La Diocesi di Prato e altri territori hanno in corso progetti più o meno analoghi. Come avete accolto queste iniziative? Molto bene. Ogni forma d’intervento che mira a sollevare le persone dalla condizione di povertà è importante, bene esprime proprio quell’attenzione di cui dicevamo prima. Ma vorrei aggiungere che tutte le diocesi italiane hanno messo in atto nel corso degli anni iniziative di sostegno mirate in particolare alla famiglia. Faccio due esempi che ho sotto gli occhi qui a Genova. Il Centro contro l’usura, che interviene a favore di quanti per difficoltà economiche finiscono nella morsa degli usurai. E il Centro emergenza famiglie che offre contributi immediati per i nuclei in difficoltà, accompagnandoli però ad azioni volte a rimuovere le cause che hanno prodotto la situazione di emergenza temporanea: perdita del lavoro, malattia, separazione, eccetera.
A questo proposito, il ministro Brunetta ha sostenuto che «la Chiesa dovrebbe fare di più, che oltre a tante attività sociali meritorie, svolge altre volte funzioni di immagine che poco si raccordano con le funzioni sociali». Cosa ne pensa? Sinceramente non so a cosa si riferisca il ministro quando parla di ragioni di immagine. Sono duemila anni che la Chiesa interviene a favore dei più poveri e dei più deboli, o meglio ancora: vive loro accanto. E ciò prosegue nei secoli perché è la sua missione più originaria: annunciare il Vangelo e promuovere carità e solidarietà così come Gesù ci ha insegnato.
Fra le obiezioni del ministro, spicca quella che in fondo la Chiesa si limiterebbe a mobilitare fondi che le vengono dallo Stato attraverso l’8 per mille. Ma è davvero così? Non è una visione piuttosto distorta della funzione sussidiaria di questo strumento? Non è certo una semplice partita di giro. Una parte elevata dei fondi dell’8 per mille è già ora destinata a opere di carità in Italia e nei Paesi in via di sviluppo, come è noto e come viene puntualmente pubblicato. Ma accanto a questi fondi – per i quali siamo profondamente grati al popolo italiano – viene mobilitata un’altra massa assai considerevole di denaro che arriva dalle raccolte nelle singole parrocchie, dall’impegno di enti e associazioni cattoliche e, non ultimo, dai contributi di tanti laici che ripongono la loro fiducia nella trasparenza e nell’efficacia delle opere della Chiesa.
Emerge un quadro da chiarire: quali sono i diversi compiti della politica e della società, da un lato, della Chiesa dall’altro? Compito della società e della politica è promuovere la giustizia. E dunque cercare di assicurare a tutti quantomeno i diritti fondamentali: alla vita, al lavoro, alla casa, a un sostentamento dignitoso della propria famiglia. La missione primaria della Chiesa è invece l’annuncio del Vangelo di Cristo e quindi la formazione delle coscienze. Il suo compito non sarebbe però completo se non aggiungesse all’annuncio la dimensione della carità, della vicinanza e dunque della promozione umana sul piano sociale e su quello culturale. Perciò la Chiesa si è trovata ad assolvere spesso una funzione di supplenza rispetto allo Stato nel soccorrere le persone. Ma la Chiesa non deve e non vuole surrogare lo Stato, offre piuttosto la sua collaborazione. Non di meno, la Chiesa è anche chiamata alla profezia e ad operare per un’elevazione culturale del popolo secondo un’antropologia che trova le sue radici più profonde nel Vangelo e, tra l’altro, è alla base della civiltà europea.
All’Angelus di domenica scorsa, fra gli altri temi, il Papa ha sottolineato la situazione dei lavoratori precari, chiedendo in particolare «condizioni di lavoro dignitose per tutti». Si sta affrontando in maniera sufficiente questo nodo o serve un di più di progettazione, di impegno? C’è una riflessione che deve compiere anche il mondo cattolico per caratterizzare meglio la sua presenza nel lavoro e nell’impresa?La Chiesa non ha ricette tecniche, ma il Papa ha bene evidenziato un principio, quella della dignità della persona, che deve rimanere centrale. Nell’epoca moderna, poi, lo sforzo della Chiesa è stato proprio quello di operare alla radice della povertà, indicando criteri di intervento e sollecitando tutti alla cooperazione. Talvolta si è adoperata anche per creare occasioni di lavoro. Penso alla promozione delle cooperative e di piccole imprese. Penso al progetto Policoro della Chiesa italiana, come a tante altre iniziative delle associazioni cattoliche. Magari sono piccoli numeri nel complesso dell’occupazione, ma rappresentano risposte concrete e linee di indirizzo, una ricchezza offerta a tutto il Paese.
Questa fine d’anno è segnata anche da un altro evento emblematico: la precarietà della vita di Eluana Englaro, davvero appesa a un filo. Al di là delle ragioni per le quali l’ipotesi di sospendere l’alimentazione andrebbe rigettata, ponendo avanti la carità, quale argomento utilizzerebbe per scongiurare a non togliere la vita a Eluana? Indico l’esempio delle suore: la risposta di amore con cui hanno accudito Eluana in tutti questi anni e ancora si offrono di fare. Questo sarebbe il comportamento che una società civile dovrebbe tenere. Qui non c’è accanimento terapeutico o cure sanitarie particolari, c’è l’accogliere una persona nel suo bisogno e accudirla. Con premura di sorelle. Con amore.